La produzione industriale ha perso più di sette punti in un anno. Il dato è reso meno preoccupante, su un piano congiunturale, dalle previsioni sul Pil. L’Italia dovrebbe crescere intorno all’1% e forse anche più in questo 2023, mentre per altri paesi europei, come Francia e Germania, le attuali aspettative sono di sostanziale stagnazione. In Italia, a controbilanciare l’andamento della manifattura, vi sono comparti come il turismo, che ancora hanno considerevoli margini di ulteriore incremento. Il Paese europeo ‘guida’ negli scorsi decenni, la Germania, deve fare in conti con uno scenario marcatamente variato in peggio: dalla crisi energetica, avvertita maggiormente per la forte dipendenza dalla Russia, alle prospettive negative del comparto automobilistico. Nel medio termine, peraltro, l’Italia rischia seriamente di subire i contraccolpi di questa situazione. Una larga parte del suo apparato produttivo, nel Nord in particolare, agisce come qualificata subfornitura di paesi nordici, Germania in testa. Non è escluso che i tedeschi riescano a uscire in tempi ragionevolmente rapidi dalle tenaglie della stretta produttiva, ma nel frattempo sarà bene per l’Italia riposizionarsi parzialmente, creando le premesse per ottenere, con una tempistica ovviamente più lunga, quanto conseguito nel giro di pochi mesi in campo energetico. In questo caso si tratta non di ridurre drasticamente la dipendenza dalla Germania, così come si è fatto sul fronte energetico con la Russia, ma di spingere fortemente per una crescita dell’industria manifatturiera nel Mezzogiorno. Con relazioni produttive e commerciali con gli altri partner del Mediterraneo e, naturalmente, con gli stessi membri della Ue. Questa politica economica e industriale allargherebbe, più che riposizionare, l’assetto produttivo del Paese. Se si punta a Sud con forza verso questo obiettivo (Zes, infrastrutture e servizi realizzati col Pnrr, spinta alla creazione di poli della ricerca e dell’innovazione, impulso alla Blue Economy), si può scongiurare anche in parte il pericolo del decremento demografico. Per l’Istat il fenomeno delle culle vuote può far perdere all’Italia entro il 2061 il 25% del Pil, con punte del 40% nel Mezzogiorno. Ribaltare la scena, creando sviluppo e benessere, è l’unica maniera possibile per invertire i trend attuali, oltre ovviamente alle politiche per la famiglia e per l’integrazione di immigrati qualificati. Un Sud protagonista del rilancio dell’economia, insomma, aiuterebbe l’Italia a trasformare in opportunità i fattori di crisi originati dall’attuale evoluzione storico economica.