Sempre più donne oggi decidono di non avere figli o di averne solo uno. Questo per problemi economici?
Certo, ma non solo, così come fa notare il Presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo che afferma che il nostro Paese è un Paese di figli unici. Sicuramente i salari bassi influenzano negativamente sulla natalità ma la società è cambiata ed è cambiata la donna nel modo di fare e di pensare. La qualità della propria vita viene prima della famiglia, così come la possibilità di garantire ai propri figli un futuro migliore.
È un cambiamento culturale contro il quale nell’immediato poco possono le detrazioni fiscali per i nuovi nati e i maggiori servizi di sostegno all’infanzia, che pure servono. E Sempre più donne decidono, per potersi realizzare, di non avere figli o di averli in tarda età, il che comporta spesso di fermarsi al primo figlio.
Dal punto di vista previdenziale, questo significa che la coppia dei genitori con un solo figlio sarà sostituita a metà sul mercato del lavoro. Il Ministro Giorgetti ha lanciato allarme per la denatalità che potrebbe inficiare sul nostro sistema previdenziale. Siamo sempre più proiettati verso la cultura del figlio unico così come la Cina, ma per motivi completamente diversi. Servono più servizi per la donna, stipendi probabilmente articolati in modo diverso anche sul territorio, una cultura e un fisco che favoriscano le famiglie ma anche una nuova visione che ha di sé stessa la donna che diventa madre. Servono tempo e risorse, ma si deve cominciare da subito. Il Governo questo lo sa bene e continua a puntare i riflettori sul problema della denatalità e dei problemi che crea per la sostenibilità previdenziale ed economica del sistema Italia, quasi come se si preoccupasse solo di chi ci dovrà pagare la pensione, più che dei mutamenti profondi nel mercato del lavoro.
Il viceministro dell’Economia e delle Finanze Maurizio Leo al Meeting di Rimini ha infatti annunciato che sono allo studio sia sostegni per le imprese che assumono donne appartenenti a nuclei familiari abbastanza consistenti sia benefici per le famiglie numerose. Dato che il numero delle famiglie con tre o più figli è limitato, l’impegno richiesto allo Stato per la detassazione dall’Ires per le imprese e per il quoziente familiare, non dovrebbe essere particolarmente oneroso, e quindi non troppo difficile da reperire.
Per quanto riguarda la riforma del Fisco la legge delega è stata approvata dal Parlamento e pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 14 agosto, ed entro fine mese entrerà in vigore. Ci sono adesso 24 mesi per realizzare i decreti attuativi ed altrettanti per le eventuali correzioni, il che significa che «la delega fiscale occuperà sostanzialmente l’intera legislatura», così come riassunto dal viceministro. L’intenzione, ha spiegato Leo, è introdurre «forme di detassazione e ridurre il carico fiscale dell’imposta sul reddito delle società per dare dei benefici aggiuntivi soprattutto alle mamme. Quindi, ha spiegato ancora il ministro, «dare ulteriori benefici alle imprese che assumono delle donne che hanno nuclei familiari abbastanza consistenti». Verranno aiutate le famiglie con tre figli. Ma quale sarà il beneficio per le imprese? Nella delega fiscale è prevista una riforma dell’Ires, la tassa sugli utili, che attualmente è al 24 per cento, ma il governo è intenzionato ad introdurre un’aliquota ridotta al 15 per cento.
Questo secondo scaglione potrebbe essere assicurato anche a chi assume un certo numero di donne con tre o più figli a loro carico. Nelle intenzioni del governo c’è anche quella di aumentare i redditi delle famiglie numerose. Lo strumento cardine sarebbe il quoziente familiare, un meccanismo che ha dato ottimi risultati in Francia. La tassazione non avviene più sul reddito individuale, ma su quello della famiglia. Si sta pensando di fare interventi sulle tredicesime, soprattutto per le fasce di reddito più basse, e sugli straordinari che superano un certo ammontare. Poi ci sono i fringe benefit, che nel momento in cui vengono erogati per le famiglie, avranno a disposizione maggiori risorse e l’imprenditore potrà portare in deduzione le quote.
Anche il sottosegretario alle Imprese Massimo Bitonci è favorevole a ridurre la tassazione per le famiglie con uno o più figli a carico e questo “non significa abbandonare l’assegno unico”, che il governo ha indicato nel Def di voler aumentare; per quest’anno sono stati stanziati 18 miliardi per finanziare la misura, e nei primi cinque mesi dell’anno ne sono stati spesi poco più di 7. Si viaggia, insomma, al ritmo di 1,4 miliardi al mese. Anche la Premier Meloni sta puntando tutto sulla famiglia e sul bonus per il secondo figlio. Vorrebbe concentrare tutti i soldi disponibili sugli aiuti alle famiglie che hanno due o più figli. Ad esempio, rendendo gratuita per il secondo figlio la retta dell’asilo nido.
Ma oltre a questo si dovrebbe reintrodurre una detrazione di 10.000 euro l’anno per ogni figlio a carico fino al termine degli studi anche universitari, per tutti i nuclei senza limiti di reddito. Quindi tutti invocano un taglio consistente alle imposte sul reddito per sostenere i nuclei familiari e invertire la rotta dell’inverno demografico.
Ma basterà? E’ questa la domanda che in tanti si pongono, perché al netto di tutto quello di cui abbiamo parlato, resta il complesso problema del Sistema Paese che inevitabilmente affoga nella trappola burocratica e nella farraginosità della PA. Il mercato del lavoro nel suo complesso ha la parte del leone nel delicato panorama di denatalizzazione, ma puntare il dito solo contro il “pane quotidiano” è riduttivo rispetto all’ampiezza delle problematiche. Qualche governo decenni fa aveva provato ad americanizzare il sistema Italia, ma l’unica cosa che riuscì ad importare furono le interinali, di cui avremmo fatto volentieri a meno. Oggi occorre una manovra multidirezionale coraggiosa che punti sul valore delle persone, ed in particolare sul plusvalore rappresentato dalle donne che non sono solo mogli e madri, ma anche anelli indispensabili nell’ingranaggio produttivo del Paese. Riconoscere questo significa non solo valorizzare l’apporto fondamentale della quota rosa nel mondo del lavoro, ma soprattutto sovvertire quegli inossidabili stereotipi che vorrebbero la donna altrove. In questo il governo ha molto da lavorare e può contrae sull’apporto di noi commercialisti.