Le elaborazioni della Fondazione Edison su dati Eurostat consentono di minimizzare qualche allarme proveniente da media settentrionali sull’aumento della popolazione a rischio povertà nel Nord. Al di là di fenomeni congiunturali, le regioni del Nord sono tra le prime d’Europa per bassa percentuale di persone a rischio povertà. Buona parte del territorio settentrionale si posiziona meglio perfino della ricca Baviera, al riguardo.
È vero, rimarca la Fondazione Edison, che la media italiana evidenzia una percentuale di soggetti a rischio povertà più elevata di Paesi come Germania o Francia, ma questo dato, visto che non se la passa male neppure il Centro, dipende da una sola parte del territorio nazionale: il Mezzogiorno.
Le conclusioni del Direttore della Fondazione Edison, Marco Fortis, sono orientate a ottimismo. Le cose vanno meglio di quello che sembra e, quanto al Sud, c’è un sommerso che non riluce a dovere e c’è sempre il Pnrr che può soccorrere.
La scarsa rilevanza che, nella vision Edison, sembra avere il Mezzogiorno è pari alla preoccupazione di alcune forze politiche di chiudere in fretta la partita dell’autonomia differenziata. I poveri al Sud possono aspettare, la priorità è rendere più efficienti prestazioni e servizi nelle mai appagate aree settentrionali.
Intanto arrivano, anche qui con bassissima attenzione da parte delle forze politiche, le conferme Istat sul declino demografico che, guarda caso, sta producendo i maggiori guasti al Sud. È qui, infatti, che la popolazione residente diminuisce: -4,1 per mille a fine 2023 rispetto all’anno precedente. Nel Nord aumenta del 2,7 per mille, nel Centro ristagna con un +0,1.
Il trend è preoccupante, tra nuove nascite in diminuzione e immigrati non si riesce più a sostituire la forza lavoro che va via, e tra pochi anni, prima del 2030, questo fenomeno potrebbe incidere negativamente sull’economia.
Ma i senza lavoro, in particolar modo donne, sono soprattutto nel Sud. È puntando sul Sud che si possono creare le condizioni per evitare uno squilibrio tra ingressi e uscite nella fascia d’età tra i 20 e i 64 anni, decisiva per il Pil nazionale. Bisogna promuovere insediamenti produttivi, ma anche creare servizi e strutture (come gli asili nido) che consentano alla donne di lavorare e, perché no?, valutare con maggiore tranquillità anche la prospettiva di fare figli.
Faremmo bene a concentrarci su questi temi, piuttosto che su riforme divisive e probabilmente pericolose per la tenuta del sistema Italia.