Ogni anno viene fatto un bilancio demografico per capire se la popolazione italiana subisce dei cambiamenti in crescita oppure no, ma purtroppo i risultati preoccupano tanto perché il tasso di denatalità cresce sempre di più e l’Italia diventa il paese con popolazione più vecchia, il monte vita cala di 184 milioni di anni cioè 2,2 anni pro capite rispetto allo stesso valore del 2013; solo con l’apporto di 506 mila nuovi nati o 802 mila immigrati in più si potrebbe mantenere il bilancio demografico attuale.
Ed intanto crescono i numeri di donne senza figli. La diminuzione delle nascite è in gran parte determinata dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni), oltre che dalla continua diminuzione della fecondità. Nel 2022 il numero medio di figli per donna è pari a 1,24, valore in lieve calo rispetto all’anno precedente (1,25) e in linea con il trend decrescente in atto dal 2010, anno in cui si registrò il massimo relativo di 1,44 figli per donna. A tracciare la contabilità demografica è uno studio del professor Gian Carlo Blangiardo, già presidente Istat, il quale invita ad immaginare l’Italia come un’impresa e i cittadini il capitale in grado di generare valore. Il patrimonio demografico consiste nel loro futuro, cioè nella somma degli anni di aspettativa di vita che gli spettano nel complesso.
Oggi 59 milioni di italiani detengono un patrimonio di 2.255 milioni di anni-vita, dato dal prodotto tra il numero di abitanti in ciascuna età e la loro corrispondente aspettativa di vita (distinta per genere), così come risulta dalle tavole di mortalità più aggiornate.
Questo dato rappresenta l’attuale ricchezza demografica del Paese, che in termini pro capite diventa pari a 38,2 anni di futuro a testa.
Si tratta di un calcolo teorico che può essere realizzato ogni anno a partire dai dati Istat sulla popolazione residente. Dai dati emerge che “l’azienda Italia”, appena dieci anni fa – quindi rispetto alle risultanze contabili del 2013 (alle medesime condizioni di sopravvivenza) – poteva contare su 2 miliardi e 439 milioni di anni di futuro, cioè 40,4 anni pro capite. «In pratica circa due anni in più di futuro a testa, rispetto a oggi».
Con il passare degli anni, infatti, la crisi demografica modifica la struttura della popolazione, erodendo quella che è la vera ricchezza di un popolo: il suo futuro. Il risultato è che nel 2023 il bilancio del patrimonio demografico risulta in perdita per circa 12 milioni di anni-vita, peggiorando il risultato già negativo di dieci anni prima (con un deficit di nove milioni nel bilancio del 2013), quando i decessi erano stati 60mila in meno e le nascite 135mila in più; l’arrivo di ulteriori 119mila immigrati, inoltre, ha compensato il deficit solo in parte.
Così la capacità del Paese nel costruire futuro continua a scendere, osserva Blangiardo: «Quando le aride statistiche ci documentano circa 190mila nati in meno tra il 2008 e il 2023, il dato si traduce in una perdita corrispondente di quasi 16 milioni di anni di vita futura: questi anni avrebbero potuto essere immessi nel patrimonio del nostro paese, della sua economia, del suo welfare, della vita culturale e di relazioni».
A rendere ancora più esplicito l’impatto sull’economia è il confronto tra il patrimonio demografico da spendere in età attiva e il debito pubblico cui si deve far fronte. Rispetto al totale degli anni di futuro contabilizzati, il 54% circa verranno spesi dalla popolazione residente in età attiva, convenzionalmente tra il 20esimo e il 67esimo compleanno. A questo punto il contributo che andrebbe loro richiesto ai fini di una completa estinzione del debito pubblico italiano risulterebbe di 2.240 euro l’anno pro capite. Tale cifra è data dal rapporto tra il debito pubblico al 1° gennaio 2022 e il patrimonio degli anni vita futuri spendibili – alla stessa data – dagli italiani in condizione di (potenziale) attività. Il risultato, in pratica, rappresenta l’entità del carico debitorio assunto dal popolo italiano sulla base di quanti risultano essere a tutt’oggi i suoi potenziali sottoscrittori e quanto a lungo si stima che vivranno. Una somma che tuttavia è destinata ad aumentare, quanto più diminuiscono i garanti del rimborso e il corrispondente patrimonio demografico attivo.