Allo studio sulla relazione tra malnutrizione e riabilitazione dopo un ictus il Premio Gianvincenzo Barba al Congresso Nazionale SINU
L’ictus, terza causa di mortalità e una delle principali cause di disabilità a livello globale, comporta spesso gravi conseguenze, tra cui la malnutrizione. La malnutrizione post-ictus, che colpisce fino al 60% dei pazienti, può essere causata da vari fattori, tra cui la difficoltà nel deglutire (disfagia), la perdita di appetito, la depressione e l’incapacità di alimentarsi autonomamente e risulta peggiorare dal ricovero ospedaliero alla riabilitazione.
Al XLIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), è stato presentato uno studio che mostra una stretta relazione tra la malnutrizione e la funzionalità motoria e cognitiva in riabilitazione post-ictus, un campo ancora relativamente poco studiato in Europa.
Lo studio, sviluppato da ricercatori dell’Università Federico II di Napoli, presso il Santa Maria del Pozzo Hospital di Somma Vesuviana (Napoli), ha ricevuto il Premio Gianvincenzo Barba per la Ricerca Scientifica e l’Innovazione in Nutrizione Umana 2024 ed è stato condotto da un ricercatore iscritto alla SINU di età inferiore ai 35 anni.
La malnutrizione nei pazienti con ictus rappresenta un fattore di rischio di mortalità e complicanze nel breve e lungo termine ed è associata a un più lento e meno efficace recupero funzionale e cognitivo. Nello specifico, le conseguenze della malnutrizione comprendono soprattutto la perdita di forza e massa muscolare (condizioni preesistenti nell’anziano) e l’aumento del rischio di infezioni. Questi effetti negativi possono compromettere ulteriormente la capacità del paziente di partecipare attivamente alla riabilitazione, prolungando il recupero e riducendo le possibilità di raggiungere un buono stato funzionale, cioè la capacità di svolgere le attività quotidiane in maniera indipendente.
Per tali motivi, il recupero di un buono stato funzionale dopo un evento ischemico rappresenta uno degli obiettivi primari della riabilitazione, che può però essere fortemente ostacolato dalla malnutrizione.
Dai risultati dello studio emerge che circa la metà dei pazienti era malnutrito all’inizio della riabilitazione successiva alla degenza ospedaliera, con una prevalenza ancora più marcata nei pazienti con più di 75 anni. Inoltre, i pazienti malnutriti totalizzavano punteggi peggiori nei test di valutazione funzionale utilizzati per valutare le attività della vita quotidiana (ad esempio la capacità di alimentarsi, vestirsi o gestire l’igiene personale autonomamente) e la mobilità (spostarsi dalla sedia al letto, camminare, scendere le scale), così come nella valutazione dello stato cognitivo, rispetto ai pazienti non malnutriti.
Nello studio sono, poi, stati analizzati alcuni marcatori del sangue, indicatori di infiammazione, come la proteina C-reattiva e il fibrinogeno. È emerso che i pazienti più malnutriti avevano più alti livelli di questi marcatori, evidenziando il legame tra malnutrizione e peggiori condizioni generali di salute.
Queste evidenze sottolineano che la malnutrizione è un fattore cruciale del processo riabilitativo, sia motorio, che cognitivo, dopo un evento ischemico.
Prevenire la condizione di malnutrizione, soprattutto nella popolazione anziana, potrebbe contribuire ad un miglior stato funzionale, oltre a ridurre la durata della degenza e il rischio di sviluppare complicanze, come le infezioni. In aggiunta, la tempestiva identificazione e gestione della malnutrizione potrebbe migliorare significativamente il recupero funzionale e la qualità della vita dei pazienti.
Pertanto, l’attenzione alla nutrizione dovrebbe essere una priorità nella gestione dei pazienti post-ictus per migliorare i risultati terapeutici e favorire il ritorno a una vita indipendente.
Gli autori della ricerca sono: Olivia Di Vincenzo e Luca Scalfi del Dipartimento di Sanità Pubblica e Fabrizio Pasanisi del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli, insieme con Ermenegilda Pagano, Mariarosaria Cervone e Alessandra Esposito del Santa Maria del Pozzo Hospital di Somma Vesuviana (Napoli).Hanno collaborato, inoltre, Raffaele Natale e Annadora Morena del Dipartimento di Medicina Clinica e Chirurgia dell’Università Federico II di Napoli.