Dall’agroalimentare ai trasporti e alla mobilità, dalla farmaceutica all’aerospazio. Non c’è settore produttivo che non possa beneficiare dell’applicazione di tecnologie basate sull’intelligenza artificiale. Un recentissimo studio di Bain & Company stima che, nell’arco di un biennio, i risparmi derivanti dall’utilizzo dell’IA nelle imprese oscilleranno dal 10 al 15%. La ragione dell’ampiezza del raggio d’azione della nuova rivoluzione digitale sta nel fatto che interessa non solo i prodotti ma anche i processi. Con l’IA di riducono e si rendono più efficienti e sicure una serie di fasi e procedure, accrescendo la competitività di unità produttive e filiere. Naturalmente, questa innovazione costituirà sempre di più un vantaggio formidabile nei confronti di una concorrenza arretrata tecnologicamente. Il che si traduce in un imperativo: investire nella IA. Le grandi svolte, come sempre, vanno indirizzate dalla politica. In tal senso, non si può che condividere l’esortazione fatta dal Presidente Emanuele Orsini, nel corso della sua relazione all’assemblea pubblica di Confindustria. L’Unione Europea deve rivedere un approccio alla IA caratterizzato solo dalla preoccupazione di arginare i rischi, pur presenti, nella sua diffusione. Deve sapere sviluppare, contestualmente, una strategia finalizzata a sostenere e ad accelerare l’utilizzo delle nuove tecnologie nelle imprese. Altrimenti, il pericolo diventa quello di consegnare definitivamente la leadership economica agli Stati Uniti e alla Cina, proseguendo un declino già in atto, favorito proprio dalla miopia di certe direttive Ue. Lo stesso Presidente di Confindustria, così come tanti altri operatori economici europei, hanno stigmatizzato l’integralismo ambientalista, che ha caratterizzato negli anni scorsi la Commissione presieduta da Ursula von der Leyen, con vincoli e restrizioni per le imprese, tali da creare le basi per una possibile deindustrializzazione di diversi comparti produttivi. L’intelligenza artificiale va gestita con sapienza, definendo intese tra Ue e gli altri Stati, per impedirne un uso foriero di catastrofi per il genere umano, in primo luogo sotto il profilo della creazione di nuove armi ancora più distruttive di quelle già in dotazione. Su questo piano si gioca il futuro stesso del pianeta. Altra questione è l’impulso alle imprese che, ottimizzando organizzazione e produzioni, possono creare nuova ricchezza e migliorare le condizioni di vita di territori e popolazioni. Sotto questo aspetto, l’eccesso di prudenza può ingenerare esiti diametralmente opposti.