ROMA – “Prima di attuare il Concordato preventivo biennale sarebbe corretto disporre di un quadro normativo chiaro e stabile, che preveda il riconoscimento del tempo necessario per comprendere e valutarne ogni risvolto: questo dimostrerebbe finalmente un atteggiamento rispettoso e attento delle istituzioni verso i contribuenti e i professionisti, che dovrebbero favorire un rapporto di compliance ma alle condizioni attuali certamente non possono farlo. In mancanza di un quadro normativo chiaro, non si potrà purtroppo che constatare come ulteriormente disatteso l’obiettivo dichiarato nella Delega Fiscale, che aveva introdotto l’istituto con l’intento di voler semplificare il rapporto tra Fisco e contribuente. Così come, peraltro, non si potrà che imputarne l’insuccesso o la sua ridotta efficacia a questo modo di legiferare e alla mancata volontà del legislatore di concedere i tempi necessari per valutare l’adesione al nuovo istituto nei suoi diversi aspetti”. Lo affermano in una nota i vertici dei sindacati dei commercialisti Francesco Cataldi, presidente UNGDCEC, Edoardo Ginevra, presidente AIDC, e Maria Pia Nucera, presidente ADC.
“L’obiettivo del Concordato preventivo biennale (CPB) è ambizioso e richiede un cambio culturale. Ci aspettavamo una svolta radicale, invece abbiamo dovuto assistere, ancora una volta, alla consueta contrapposizione tra gli intenti dichiarati e ciò che è realmente accaduto, con continue modifiche apportate in itinere alla disciplina del CPB”, rimarcano i presidenti delle associazioni di categoria. “In particolare, la norma che introduce un regime sanzionatorio penalizzante per i soggetti che decidono di non aderire al concordato, nonché la possibilità, per chi al contrario aderisce, di accedere ad un ravvedimento dei teorici imponibili non dichiarati negli anni pregressi, sta mettendo in seria difficoltà i contribuenti e i professionisti, per la difficile valutazione di ogni singola situazione che comporta calcoli di convenienza e valutazioni soggettive”.
“A ciò, si aggiunga il dover assistere a una campagna comunicativa da parte dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero omissiva di tutti gli aspetti di complessità insiti nel nuovo strumento, che vengono lasciati sulle spalle dei professionisti: anche in questo messaggio, il lavoro dei commercialisti è banalizzato e mortificato”.
Cataldi, Ginevra e Nucera sottolineano come “in una situazione simile, la richiesta di proroga della scadenza è quasi ovvia e necessaria: con questi tempi e in queste condizioni per i professionisti è impossibile svolgere al meglio il proprio lavoro con evidenti effetti sul numero di adesioni. L’auspicio è che il Governo, nel comprendere le ragioni alla base del disagio e dell’imbarazzo evidenziate, possa decidere senza ulteriori indugi di concedere un maggior termine riconoscendo la necessità di “tempi tecnici” adeguati. Sarebbe una scelta di rispetto e civiltà giuridica”.