Con scritture di Carlo Bugli, Giuseppe Martini, Stefano Taccone e  Ferdinando Tricarico.

VERNISSAGE Lunedì, 28 Ottobre 2024, ore 17,00

MOVIMENTO APERTO Via Duomo 290/C NAPOLI

“L’artista durante un suo momento onirico consegna il titolo a quattro scrittori. Nella realtà il sogno viene raccontato ad ognuno di loro, che con un affaccio diverso hanno scritto un brano ,l’artista ha realizzato in opere una propria visione multimediale, dagli scritti de ‘Le finestre della signora Domani’

Il sogno dell’artista avrà un’appendice performativa al Vernissage dal titolo:

CORP( )REA – monologo inattuale”, con l’attrice Margherita Romeo messeri scritto e diretto da Giuseppe Cerrone,  ovvero la visione di un’ulteriore finestra che si spalanca, senza mediazioni, sulla realtà dello spettatore.”

Questa esposizione accompagna il visitatore all’interno di una trama di sguardi che s’incrociano; ma l’esperienza percettiva dell’ospite non si esaurisce con l’eccitazione dei coni e dei bastoncelli retinici. Come vedremo tra poche righe, ad essere coinvolti saranno anche dei glomeruli (che non sono renali), delle mitre (che non sono vescovili), dei bulbi (che non sono di garofano) (per non fare il misterioso: l’apparato olfattivo. Che nel sapiens sapiens è poi un marchingegno abbastanza rozzo, un meccano quasi ridicolo, al cospetto degli stupefacenti nasi di un gran numero di altre specie viventi). Ma torniamo agli sguardi che s’incrociano, i quali corrono tra segni semantici e segni che non ambiscono alla dignità di un significato vero e proprio. I primi si slanciano dalle scritture di quattro autori che si chiamano Carlo Bugli, Giuseppe Martini, Stefano Taccone e Ferdinando Tricarico; tutti attivi sui crinali scivolosi e incerti che separano la scrittura di immaginazione dalla critica delle arti, la filosofia del linguaggio ordinato dalla pratica disordinata e un po’ selvaggia delle avanguardie storiche, postmoderne, postreme e postume. Facendo il verso a Totò il Grande, direi che la somma di questi scritti risulta nel totale coacervo del miscuglio: un cocktail non shakerato di epigrammistica, racconti “pulp”, sogni surrealisti e treni che deragliano con voluttà e senza ritegno. Un intruglio, un’accozzaglia di scritture irridenti e meccaniche come di automa, insomma; automatiche e semiautomatiche come pistole variamente capaci di fare fetecchia e di esplodere colpi mortali. Gli sguardi che invece si allungano dai segni che non aspirano alla dignità di un significato provengono dalle opere di Maurizio Esposito, ch’è un artefice abituato a progettare e produrre oggetti e strutture capaci di agire per forza di aggregazione di energie anche disomogenee. Il suo è un fare che si fida dell’eventualità probabilistica, del tutto allineato alle acquisizioni della fisica quantistica e ai risultati dello strabiliante Alfred Jarry, che nel suo famigerato “Gesta e opinioni del dottor Faustroll, patafisico” fu capace di anticiparne gli ottenimenti già sul declinare del XIX secolo. Si tratta di opere poste in cornice quasi per ridere, dal momento che non ce la fanno proprio a starsene, buone buone, al loro posto. Questa esposizione, in tutta evidenza, addirittura non esisterebbe se le sue opere non si sporgessero nello spazio, protendendosi in avanti dalle cornici che a fatica le tengono come nasi che fiutano l’aria che nella sala espositiva si riposa, e ogni tanto l’odore degli spettatori, ciascuno dei quali dotato a sua volta di naso, che l’esposizione si trovano a visitare. Nessuno di tali visitatori, passando in rassegna le opere e i loro nasi, si astiene dal respirare: si tratta di persone, senza eccezione, viventi, alcune più attente e determinate a “interagire” con i quadri, altre, magari, più distratte e svogliate. C’è da presumere che la maggioranza di loro neanche si accorga di avere a che fare con opere dotate di naso, che la nasità sia addirittura la loro principale caratteristica, la prima delle attitudini relazionali che l’artefice e inventore ha avuto la bontà di concedere loro; l’attributo della nasità – a ben vedere, o sniffare – è, anzi, niente di meno della loro unica possibilità di esistere nel mondo al di fuori dell’ottusa autosufficienza della monade, che per suo conto né si estroflette né s’introflette, bastando a sé stessa perfettamente. Si tratta pur sempre di opere incorniciate e appese alla parete di uno spazio espositivo, destinate, si potrebbe dire, ad essere innanzitutto guardate. Questo è innegabile. Può darsi che lo stesso artefice, nel concepirle e nel realizzarle, abbia pensato di realizzare delle opere visive come tante altre. Ma alla fine, e per fortuna, dev’essersi reso conto di avere a che fare con delle opere-naso, e si è comportato di conseguenza. Confidando tuttavia in un pubblico pagante dotato, oltre che di nasi, di occhi, ha pensato bene di reclutare i quattro coautori scriventi di cui si è dato conto più sopra. È questa, alla fine, una mostra multimediale? Senz’altro. Ma è prima un organismo eventuale, predisposto all’addizione degli sguardi, e più ancora dei fiati che si mescolano e dei nasi che a vicenda si annusano, sniffando con la voluttà erotica che l’arte riconosce alla vivente vita, e viceversa.

Eugenio Lucrezi