Il deficit pubblico italiano, nel 2025, potrebbe scendere sotto il 3% del Pil. Il che anticiperebbe di un anno l’uscita dalla procedura europea dei conti, consolidando la stabilità del Paese sui mercati finanziari internazionali. Il condizionale, tuttavia, è d’obbligo, perché le stime si basano su previsioni che rischiano di rivelarsi troppo ottimistiche. Perfino quella di un Pil 2024 cresciuto per lo 0,7%, effettuata dal Fondo monetario internazionale nei giorni scorsi e che ha già rivisto al ribasso le proiezioni precedenti, può essere smentita dalla realtà. Potrebbe accadere se dovesse continuare l’andamento dell’ultimo trimestre, luglio-settembre, caratterizzatosi per un complessivo ristagno del PIl. L’inversione di tendenza italiana, con un’economia che da battipista è passata ad essere fanalino di coda europeo, ha anche motivazioni esterne. L’Italia, secondo Paese manifatturiero d’Europa, risente della crisi globale dell’industria produttiva, riscontrabile anche in Paesi come Usa, Germania, Giappone, Messico e Turchia. Ma a peggiorare la situazione, in Italia, contribuiscono fattori interni, primo fra tutto il prezzo esorbitante dell’energia. Se si prescinde da tasse ed altri oneri, un’analisi dell’Università Bicocca evidenzia che il costo dell’energia nella Penisola è il triplo di quello degli stati scandinavi, il doppio di Francia e Spagna, un terzo in più di quello della Germania. Se poi si considera che il costo medio europeo è nettamente più elevato di quello di Asia e Nord America, si può avere un’idea delle difficoltà delle imprese italiane, chiamate a competere su un mercato oramai globale in ogni settore merceologico. La spinta verso le rinnovabili e, in una prospettiva di medio termine, verso un grande rilancio del nucleare pulito e sicuro di nuova concezione (ma ci vorranno anni!) può porre le basi per migliorare gradualmente la situazione. Nel frattempo, per dare slancio all’economia italiana, bisogna utilizzare le leve disponibili, a cominciare dal Pnrr. I dati ufficiali dicono che finora è stato speso il 26% dei 194 miliardi disponibili. La speranza è che sia una formidabile accelerata in quest’ultimo biennio, anche perché, in caso contrario e se non ci saranno proroghe, bisognerà restituire all’Unione Europea le risorse concesse ma non spese entro la deadline stabilita da Bruxelles.