Venerdì 29 novembre, dalle ore 9,30 a Castel Capuano a Napoli, si tiene la IV Giornata Internazionale di Studi ‘Linguistica ed Economia’, Promossa da IUM, Scuola Superiore Mediatori Linguistici, con la Fondazione Castel Capuano e l’Associazione Proposta Giustizia, l’iniziativa è curata da Eduardo Maria Piccirilli e Valentina Russo e intende esplorare l’intersezione tra lingue ed economia, temi centrali e sempre più interconnessi nel contesto della globalizzazione e delle innovazioni tecnologiche. L’evento vede la partecipazione di accademici, professionisti ed esperti internazionali, chiamati a riflettere sull’impatto delle lingue e delle culture sull’economia globale. Di particolare rilievo sarà la Sessione Economico-Tributaria, dedicata all’analisi della recente riforma della Giustizia Tributaria, la legge 130/2022, che ha introdotto la figura di magistrato tributario professionale e a tempo pieno, al centro del dibattito. Verranno analizzati i principali cambiamenti normativi, le criticità e i punti di forza del nuovo sistema, con un approfondimento sugli effetti delle procedure concorsuali e sull’impatto della normativa a livello nazionale ed europeo. Tra gli argomenti di discussione spiccano il ruolo del giudice tributario rispetto al giudice ordinario, l’evoluzione dei procedimenti cautelari e d’esecuzione, e il delicato equilibrio tra magistrati togati e giudici di provenienza dal mondo delle professioni, una questione che ha generato dibattiti e perplessità tra gli operatori del settore.  L’evento, sponsorizzato da Gruppo24Ore e Logogramma, gode del patrocinio del Comune di Napoli, del Consiglio regionale della Campania, del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, di ODCEC Napoli, oltre che di Nika e Gianus.

 

Giustizia Tributaria: una riforma tra professionismo e disparità

La riforma introdotta dalla legge 130/2022 rappresenta una svolta importante per la Giustizia Tributaria italiana. Con l’obiettivo di professionalizzare il settore, la riforma ha reso il giudice tributario una figura togata, a tempo pieno. Tuttavia, questa trasformazione, pur avendo intenti migliorativi, ha suscitato alcune critiche per la disparità di trattamento tra le diverse categorie di provenienza nel ruolo, mettendo in evidenza quello che molti percepiscono come un sistema discriminatorio. Prima della riforma, la giustizia tributaria si basava su commissioni composte da giudici selezionati con un concorso pubblico solo per titoli, sulla base di un principio costituzionale che valorizzava il contributo dei cittadini esperti al sistema giudiziario. Tra i giudici tributari vi erano due gruppi principali: i magistrati togati, provenienti dalle fila della magistratura ordinaria, contabile, amministrativa e militare, e i giudici di provenienza dal mondo professionale, come avvocati e commercialisti. Con la riforma, i magistrati, in servizio da almeno cinque anni, possono transitare nel ruolo di giudici tributari con una semplice domanda, senza affrontare esami o ulteriori valutazioni. Al contrario, i giudici tributari onorari, che per anni hanno esercitato queste funzioni con competenza, si trovano obbligati a superare un concorso pubblico per titoli ed esami per accedere alla stessa posizione. Questa differenza di trattamento ha creato una frattura evidente, con un gruppo che gode di un accesso semplificato e privilegiato, mentre l’altro, nonostante l’esperienza maturata, deve dimostrare nuovamente la propria idoneità. La percezione di disparità è acuita dal fatto che entrambe le categorie hanno contribuito al funzionamento della giustizia tributaria per anni. Tuttavia, la riforma sembra riconoscere il valore solo ai giudici tributati di provenienza magistratuale, relegando i giudici provenienti dal mondo delle professioni a una posizione di svantaggio. La metafora che paragona i togati ai ‘preti’ e gli onorari ai ‘diaconi’ sottolinea proprio questa disparità: mentre i primi ottengono il privilegio di un accesso diretto al nuovo sistema, i secondi devono ripartire da zero. Questo squilibrio non solo mina il principio di equità, ma solleva anche interrogativi sul valore attribuito all’esperienza pregressa. La riforma, pur introducendo un modello più professionale, sembra trascurare il contributo fondamentale di chi ha garantito il funzionamento del sistema precedente. Rimane aperta la questione su come bilanciare i diritti delle due categorie, per evitare che una riforma nata per migliorare il sistema finisca per penalizzare chi vi ha lavorato con dedizione per anni.