Rischia una doppia condanna in un colpo solo chi accede al WhatsApp della ex anche se, per ipotesi, conosce il pin dello smartphone perché gli è stato rivelato dall’allora partner. Scattano da una parte l’accesso abusivo a un sistema telematico e dall’altra la violazione della corrispondenza: quanto al primo, ormai la convivenza è cessata, ma il delitto ex articolo 615 ter Cp si configura anche quando l’uso delle credenziali dà un risultato certamente in contrasto con la volontà della persona offesa; il secondo reato non è scriminato dal fatto che l’uomo produca la chat in un giudizio civile in quanto genitore preoccupato della salute del figlio durante la pandemia Covid: avrebbe dovuto chiedere al giudice di ordinare la produzione in giudizio dei documenti che riteneva necessari al processo. È quanto emerge dalla sentenza 3025/25 pubblicata il 27 gennaio 2025 dalla quinta sezione penale della Cassazione. Diventa definitiva la condanna inflitta all’uomo che deposita nel procedimento civile le chat fra l’ex compagna e il datore di lavoro di lei: non convince la tesi della difesa secondo cui il telefonino sarebbe stato lasciato con la schermata aperta del messaggio, il che escluderebbe sia l’accesso abusivo sia la violazione della corrispondenza, che non sarebbe stata chiusa ma liberamente leggibile. In realtà risulta provato che il cellulare della persona offesa avesse un proprio pin per riservarne l’uso alla titolare e inibire l’accesso ai terzi, fra i quali doveva essere compreso l’imputato: in ogni caso, anche se vi fosse stato un assenso implicito in precedenza, dovrebbe ritenersi revocato con la cessazione della convivenza. Per i giudici di legittimità, infatti, di cui ha scritto il sito Cassazione.net, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, il motivo è fondato e, al riguardo, hanno ricordato che “Il fatto poi che il genitore deduca di aver prodotto la chat in giudizio per tutelare il minore non integra alcuna scriminante: non l’esercizio di un diritto, perché c’era la possibilità di chiedere un provvedimento istruttorio del giudice, anche d’urgenza, e neppure lo stato di necessità, che richiede il pericolo di un danno grave alla persona non altrimenti evitabile. Compie reato, ad esempio, anche chi sottrae la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla nel giudizio di separazione: il giudice può sempre ordinare, d’ufficio o a istanza di parte, di esibire la documentazione al coniuge o al terzo”.