L’EDITORIALE: La vicenda per molti versi sconcertante andata “in onda” nei giorni scorsi su quasi tutte le televisioni nazionali, in ordine alle performance di Romano Prodi nei confronti di una giornalista di Mediaset, è ormai divenuta di dominio pubblico. Tanto che appare superfluo commentare l’episodio “incriminato” consumatosi davvero in pochi istanti. Cioè a dire, nel breve tempo intercorso tra la domanda formulata all’ex Presidente del Consiglio (presumibilmente ritenuta da quest’ultimo troppo impertinente o comunque non gradita) e la risposta piccata dell’esperto uomo politico che ribatteva velenosamente con parole a tratti intraducibili e culminate con il gesto molto discutibile e improprio di strattonare una ciocca di capelli della incolpevole Lavinia Orefici, inviata della nota trasmissione televisiva “Quarta Repubblica”.  Atteggiamento molto sconveniente e scortese posto in essere, a nostro avviso, non inconsapevolmente, ma piuttosto, volontariamente, quasi a voler redarguire o forse anche ad intimorire la giovane giornalista, per la domanda scomoda rivolta in ordine al Manifesto di Ventotene. Argomento, al contrario, di grande attualità politica in quel dato momento. 

Null’altro vogliamo aggiungere sul gesto clamoroso e stizzato del vecchio Guru della Sinistra nostrana. Sono sufficienti le immagini televisive e le scuse tardive di Prodi, pervenute con comunicato stampa e rivolte alla giovane giornalista di Mediaset, rimasta molto turbata dall’accadimento improvviso, ma soprattutto per l’assoluto silenzio di parte della stampa nazionale e delle organizzazioni cosiddette “Femministe” che neanche un cenno di solidarietà riuscivano a farfugliare nell’occasione del deplorevole accadimento contro una lavoratrice donna nell’esercizio legittimo della sua professione.

Quello che, al contrario, ci preme di sottolineare é che il “Caso Prodi” non é solo la dimostrazione della complicità della stampa di sinistra nel nascondere le notizie scomode, ma anche l’ennesima prova della totale incoerenza delle innumerevoli associazioni femministe, quelle che prosperano anche grazie ai contributi pubblici e che si scatenano a comando solo quando conviene alla loro agenda politica.

Se un episodio del genere fosse stato commesso da un politico di diversa estrazione (penso ad un esponente della coalizione di Centro Destra), queste stesse associazioni sarebbero scese in piazza con striscioni, hashtag virali e dichiarazioni infuocate contro il “maschilismo imperante”. Avremmo assistito per settimane ad appelli accorati, fiumi di inchiostro velenosi e indignati e richieste di dimissioni immediate del colpevole di turno.

Al contrario, di fronte al gesto in ogni caso censurabile compiuto da Romano Prodi, il silenzio delle femministe è assordante. Nessuna condanna, nessuna protesta, nessuna richiesta di chiarimenti o di scuse ufficiali.

La verità è che queste associazioni non difendono le donne in quanto tali, ma solo quelle che possono essere adoperate come armi politiche contro i propri avversari politici o la coalizione avversa. Quando il presunto aggressore è “uno dei loro” si voltano dall’altra parte. Questo non è femminismo: è ipocrisia allo stato puro, opportunismo e servilismo verso una parte politica.

Un movimento realmente impegnato nella difesa delle donne dovrebbe essere il primo a condannare senza tentennamenti e miopie qualsiasi forma di violenza, senza distinzioni politiche. Invece le femministe nostrane, cresciute nell’odio dei centri sociali, con il loro “Femminismo a gettone” si dimostrano per quello che sono: militanti di partito travestite da attiviste, pronte a mobilitarsi solo quando può far gioco alla sinistra. Ed è per questo che, inesorabilmente, hanno perso ogni credibilità. 

CARLO LAMURA