In un’epoca dominata da artisti uomini, Artemisia Gentileschi fu un’eccezione, ma non un’eccezione qualsiasi: fu un’artista. Una vera. Non “una donna che dipingeva”, ma una pittrice riconosciuta, stimata, celebrata, in grado di dialogare – da pari – con i grandi del suo tempo. E a Napoli, trovò qualcosa che altrove non aveva avuto: una seconda casa.

Era l’estate del 1630 quando Artemisia arrivò nel capoluogo partenopeo, valutando che in quella città così viva, contraddittoria, diseguale ma centralissima, potessero aprirsi nuove opportunità. Napoli, all’epoca, era la terza città più popolata d’Europa – un dato impressionante, che però raccontava anche una realtà sociale complessa, fatta di enormi disuguaglianze, condizioni urbanistiche malsane e una densità abitativa da primato mondiale. Eppure, Napoli era anche un polo artistico e commerciale di primo livello, un crocevia tra Europa continentale e mondo mediterraneo.

Artemisia, figlia del pittore Orazio Gentileschi e già famosa per la forza espressiva dei suoi dipinti, scelse Napoli non come rifugio ma come laboratorio creativo, come spazio di espansione professionale. Qui non solo visse, ma lavorò, creò, crebbe le sue figlie – che maritò con doti dignitose – e soprattutto dipinse. Napoli le diede committenti, alleanze artistiche, visibilità e fiducia. Fu anche una città che, pur nel suo caos, seppe riconoscere il suo grande talento. Qui, Artemisia strinse rapporti profondi con artisti come Massimo Stanzione, con cui condivise non solo stile, ma visione. La loro fu una  collaborazione intensa, in cui il Barocco napoletano incontrava la drammaticità caravaggesca della pittrice romana. Da questo fertile scambio nacquero opere importanti e una nuova fase della sua carriera.

Tra i capolavori realizzati spiccano le tre grandi tele per la Cattedrale di Pozzuoli al Rione Terra: San Gennaro nell’anfiteatro di Pozzuoli, L’Adorazione dei Magi, ed I Santi Procolo e Nicea. Sono opere che mostrano una Artemisia più matura, spirituale, ma ancora vibrante, capace di misurarsi con tematiche sacre senza perdere l’energia pittorica che l’ha sempre contraddistinta. 

Napoli fu anche il punto di partenza per grandi commissioni internazionali: basti pensare alla Nascita di San Giovanni Battista, oggi al Museo del Prado. Opera appartenente a cicli di tele monumentali destinate a Madrid, al Palazzo del Buen Retiro, cui collaborarono anche Paolo Finoglio e lo stesso Stanzione. In queste tele, Artemisia dimostrò non solo di aggiornarsi ai gusti della corte spagnola, ma anche di sapersi allontanare dai soggetti che l’avevano resa celebre – Giuditta, Susanna, Betsabea, Maddalena – per abbracciare una pittura mitologica e devozionale di ampio respiro.

Se Roma fu la città del trauma e Firenze quella della consacrazione, Napoli fu la città della conferma e della resistenza. Fu qui che Artemisia visse gran parte della sua vita adulta. Qui che continuò a dipingere, insegnare, difendere il proprio posto nel mondo dell’arte. Napoli non la risparmiò – nessuna città dell’epoca lo avrebbe fatto – ma seppe riconoscerla. Artemisia è Napoli. Napoli è anche Artemisia.
 E questo, la storia, l’ha finalmente capito.