di Gianni Lepre*
La decisione del Governo Meloni di fissare il tetto massimo per l’utilizzo del contante a cinquemila euro non significa favorire l’evasione fiscale. Non vi sono prove che vi sia un automatismo tra innalzamento del tetto e propensione a evadere le imposte. Un tetto a cinquemila euro, inoltre, non rappresenta affatto un’anomalia nel panorama europeo. Tra gli Stati membri la media del limite di utilizzo è infatti molto simile: 5.300 euro. Sarebbe probabilmente stato eccessivo elevare il limite a diecimila euro, come proposto da uno dei partiti della coalizione di Governo. Vi è peraltro da sottolineare come vi siano ben nove Paesi dell’Unione europea in cui non vi è alcun limite. E che questa mancanza comporti conseguenze dannose per l’erario è confutato dal fatto che tra i Paesi figura un colosso come la Germania, in cui l’evasione fiscale è nettamente al di sotto della media.
Il Governo, innalzando il limite, intende dare un impulso all’economia delle piccole contrattazioni, a quella delle piccole imprese e dell’artigianato, eliminando vincoli che talvolta rallentano le operazioni. Si tiene conto, probabilmente, anche di una cultura digitale meno diffusa in Italia rispetto ad altre realtà come quella svedese, dove si è al contrario giunti al punto che un commerciante si può sempre rifiutare di accettare un pagamento in contanti.
In Italia, anche per il deficit culturale su indicato, la vecchia pratica di conservare i soldi ‘sotto la mattonella’ è ancora molto frequente. In tal senso, ho già avuto modo di proporre una soluzione per facilitare la tracciabilità futura delle risorse. Basta fissare una moratoria che consenta ai detentori di ingenti somme in contanti di trasferirle su conti correnti, titoli obbligazionari o azionari entro un determinato periodo – ragionevolmente ampio – pagando un’imposta prefissata dallo Stato ma senza incorrere in accertamenti da parte dell’amministrazione finanziaria.
Questa fase di transizione avrebbe il vantaggio per l’erario di incassare un importo cospicuo, mentre si libererebbero per nuovi investimenti somme attualmente ‘ingessate’ per il timore di incorrere in sanzioni fiscali e penali. A tutto vantaggio dell’economia e dello stesso fisco, che ai ricavi della moratoria aggiungerebbe quelli originati dalla nuova ricchezza e dunque dall’ulteriore base imponibile generata. Dalla moratoria sarebbero naturalmente esclusi i proventi di attività criminose, che potrebbero essere perseguite più agevolmente, proprio perché l’azione repressiva dell’evasione verrebbe a essere circoscritta.
*Economista, Presidente Commissione Reti e Distretti Produttivi Odcec Napoli