di Giovanni Lepre*

Il Governo ha dimostrato di fare sul serio. La revisione del reddito di cittadinanza appena varata prevede una netta distinzione tra occupabili e soggetti che non possono svolgere un’attività lavorativa. Questi ultimi non hanno nulla da temere, a meno che non abbiano falsificato la documentazione prodotta per ottenere il beneficio. In questa ipotesi i controlli rigorosi che verranno messi in atto consentiranno di cancellare le situazioni fraudolente.

I risparmi corposi saranno ottenuti invece sugli altri soggetti: gli occupabili sono circa 660 mila persone, cui verranno aggiunti altri 173 mila percettori che ricevono il reddito pur avendo un’occupazione, ma con retribuzioni basse al punto da farli rientrare nei requisiti per il sussidio di povertà.

In complesso di tratta di un terzo degli attuali percettori del reddito, che ammontano a circa 2,5 milioni. Per questi signori il beneficio continuerà solo per altri otto mesi, in cui potranno continuare percorsi formativi. Dopo agosto 2023, il reddito di cittadinanza per loro cesserà, azzerando una condizione che in molti casi li aveva indotti a rifiutare offerte di lavoro. 

La svolta governativa è condivisibile. Chi è nelle condizioni di operare non piò essere assistito a vita. Il Governo, d’altra parte, ha incluso i percettori del reddito tra i soggetti la cui assunzione consentirà alle imprese di beneficiare della decontribuzione. Oltre ai fruitori del reddito, per ottenere l’agevolazione si potrà assumere donne, giovani under 36 oppure disoccupati over 50.

Insomma, ci saranno tante strade per poter sostituire il mancato introito di carattere assistenziale con una retribuzione erogata a fronte di un’operosità produttiva, a vantaggio dell’economia e delle casse dello Stato. Già, perché le casse erariali risparmieranno circa un miliardo e mezzo di euro grazie ai tagli al reddito. Un importo da non disprezzare, in una fase particolarmente delicata per l’economia e la finanza pubblica.

Personalmente, ho avuto modo in altre occasioni di proporre la definizione di misure di sostegno all’apprendistato che favoriscano l’occupazione di giovani in possesso di titoli di studio medio-bassi. Il contributo dovrebbe essere erogato ai maestri artigiani, a compensazione delle spese e del tempo che dedicherebbero alla formazione degli apprendisti. In questo modo si centrerebbero due obiettivi: dare lavoro a persone a rischio di emarginazione sociale e assicurare nuove prospettive di crescita a un settore di grande tradizione per il made in Italy, come l’artigianato di eccellenza.

*Economista, presidente Commissione Reti e Distretti produttivi Odcec Napoli

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