di Gianni Lepre*
La Legge di Bilancio 2023 destina al contenimento del ‘caro bollette’ di famiglie e imprese 21 dei 35 miliardi complessivi. È una scelta obbligata dalle circostanze. Il rischio altrimenti era di trovarsi di fronte a un altro milione di poveri, oltre a quelli già documentati statisticamente. Gli sbalzi delle tariffe penalizzano soprattutto le piccole imprese, se non sono supportate la loro chiusura è quasi certa, con seicentomila posti di lavoro in fumo e condizioni di disagio sociale per i licenziati e le loro famiglie.
Il tasso di occupazione è già all’8%, due punti sopra la media europea del 6%. Questa differenza è determinata dal Sud, in cui il fattore lavoro continua a essere in troppi casi merce rara. In questo scenario, il minimo che può fare un governo responsabile è di arginare i fenomeni che possono aggravare le tensioni sociali. Anche perché quello che non investi oggi per salvare i posti di lavoro lo paghi tre volte tanto in futuro per sussidiare chi è rimasto fuori dalle realtà produttive.
È evidente che, con i 14 miliardi rimasti si può fare relativamente poco e che gli impegni assunti dalla coalizione di maggioranza in campagna elettorale possono essere rispettati soltanto in un arco quinquennale, e non nell’ambito di un solo esercizio di bilancio.
Ma più che soffermarsi sulle altre misure in elaborazione (l’approvazione del testo definitivo della legge di Bilancio richiede ancora diversi giorni), va posta attenzione alla questione energetica, una vera e propria spada di Damocle sul futuro del Paese. I 21 miliardi utilizzati per fare fronte agli aumenti delle bollette coprono un periodo limitato. A marzo del 2023 occorrerà intervenire nuovamente. Il Governo per ora non è andato oltre per due motivi. Innanzitutto per l’estrema mutevolezza delle tariffe, dovuta all’andamento imprevedibile del conflitto in Ucraina. In secondo luogo per l’impossibilità di trasformare le casse dello Stato in un pozzo di San Patrizio, senza fondo!
Va al riguardo fatta una riflessione in tempi rapidi: armi e sanzioni sono l’unica strada per rispondere all’invasione russa o si può trovare una via diplomatica per pervenire alla fine della guerra?
Il Governo italiano potrebbe in sede Unione Europea farsi promotore di una proposta del genere, tenendo conto che a pagare in termini economici le conseguenze del conflitto, oltre a quelle drammatiche dei morti ucraini e russi, è anche il vecchio continente. Mentre Usa e Cina, salvo sostegni militari o di altro genere, non stanno avendo alcun danno e sono dunque meno interessati ad accelerare la conclusione della tragedia.
*Economista, Presidente Commissione Reti e Distretti Produttivi Odcec Napoli
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