di Gianni Lepre


I percettori del reddito di cittadinanza, al momento, potranno continuare a usufruire del sostegno rifiutando un’offerta di lavoro ritenuta non congrua, ossia non adeguata, per diversi motivi: dalla lontananza della sede dell’occupazione proposta al tipo di attività prospettata, ad esempio giudicata non in linea con il proprio titolo di studio.

Questa situazione dovrebbe restare in vigore ancora per poco. La possibilità di rifiutare un lavoro ‘non congruo’, infatti, è rimasta in piedi per la necessità di approvare in tempi stretti la legge di Bilancio. Il Governo ha già manifestato l’intenzione di rivedere presto la normativa, escludendo il diritto del percettore del reddito a rifiutare qualsiasi lavoro, purché in regola con le norme di legge e contrattuali e nel rispetto di altri requisiti (ad esempio, il rifiuto di un’offerta in un’altra area del Paese non dovrebbe potere interrompere il diritto al sostegno).

La volontà del Governo è stata del resto recentemente riaffermata in un’intervista televisiva dal Presidente del Consiglio Meloni, che ha sottolineato come non si possa pretendere di rifiutare un lavoro non corrispondente ai propri sogni, continuando a essere assistiti con risorse erogate grazie anche alle trattenute fiscali effettuate su persone che, accettando un’occupazione dignitosa, hanno a loro volta rinunciato alle loro massime aspirazioni. 

Il principio è giusto, anche se qualche riflessione va fatta. Sarebbe opportuno che il Governo favorisse, con incentivi temporanei, una formazione che mettesse in grado gli assistiti di oggi di diventare attivi protagonisti del domani. Il campo d’azione privilegiato di una svolta del genere è l’apprendistato in antichi ma ancora validi mestieri del made in Italy d’eccellenza, artigianato in testa, che palesano seri problemi di ricambio generazionale.

C’è una via di mezzo tra il chiedere a un laureato con lode di accettare di operare come netturbino (lavoro dignitoso come altri, ma probabilmente lontano per attitudini e mentalità dal vissuto di certi giovani) e l’offrirgli la possibilità di una strada alternativa, che magari consenta di innovare alcune attività tradizionali con i nuovi saperi digitali e una maggiore proiezione all’export. 

C’è insomma la necessità di venire incontro a quei giovani che, per le lacune del nostro sistema formativo in termini di orientamento, hanno portato a termine con merito percorsi di studio rivelatisi poi sterili ai fini della ricerca di un’occupazione qualificata.   

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