Un anno di guerra, un anno di guerra convenzionale, simmetrica, ad alta intensità e per di più in Europa, che coinvolge una Potenza nucleare di primissimo piano. Non è una situazione normale e non può essere equiparata ai conflitti della Guerra Fredda proprio in quanto quelle erano tutte per loro natura guerre limitate: limitate per il fatto di essere controllati dall’esterno dalle superpotenze, a loro volta decise a circoscrivere i conflitti per evitare rischi di escalation. Per questo, porsi rispetto alla guerra in Ucraina allo stesso modo in cui ci si poneva riguardo alle guerre in Medio Oriente o in Africa è sbagliato. Nei conflitti limitati la posta in gioco per le grandi potenze era – appunto – limitata. I conflitti stessi, se asimmetrici potevano durare indefinitamente ed essere convenientemente “addormentati”, mentre quelli convenzionali duravano finché duravano le munizioni, e poi dovevano necessariamente concludersi, se non con una “pace” (cioè con un documento risolutivo), almeno con un armistizio come sul Golan. In Ucraina la posta in gioco è molto più alta, e la colpa è tutta di Putin che ha continuato a rilanciare ogni volta che qualcuno cercava di flemmatizzare le cose. Lo scopo di Putin era mettere l’Occidente davanti all’alternativa fra dare soddisfazione a lui abbandonando l’Ucraina, oppure rinunciare definitivamente all’equilibrio di poteri che ha mantenuto la pace in Europa dal 1945 (a parte qualche conflitto limitato negli anni ’90). Purtroppo per Putin, la sua stessa propaganda lo ha acciecato: così come ha sopravvalutato le capacità militari della Russia, ha anche sopravvalutato il peso strategico della stessa Russia sugli equilibri mondiali. Il vero avversario dell’Occidente ormai da tempo non è più la Russia, bensì la Cina. L’unico vero valore strategico residuale della Russia è il suo arsenale nucleare, che fornisce un ombrello strategico gratuito alla Cina nella sua competizione con gli Stati Uniti, e tanto Beijing che Washington concordano su questa visione. La EU sarebbe anche stata disposta a garantire uno status maggiore alla Russia in forza del suo passato sovietico, ma non al costo di compromettere la sua stessa crescita economica e politica, e di vedere rimessa in discussione l’inviolabilità delle frontiere, pilastro quest’ultimo indissolubile per assicurare la pace sul continente.
In definitiva, nessuno dei principali attori strategici del pianeta è più disposto ad assecondare un Putin convinto di essere il maschio Alfa di un gruppo che misura la potenza in termini di GDP e non di missili nucleari residui.
Quindi di fronte all’alternativa fra rompere il tabù dell’inviolabilità dell’integrità territoriale degli Stati o rassegnarsi ad uno sforzo per ridefinire gli equilibri mondiali eliminando l’anomalia dell’attuale Regime russo, l’Occidente ha scelto la seconda. Questa scelta ormai è irrevocabile: le relazioni fra il Regime russo e l’Occidente sono oltre il punto di non ritorno, e anche se questo ancora non è stato metabolizzato dall’opinione pubblica, è ormai ben chiaro tanto ai Governi occidentali che a quello cinese, quest’ultimo intento a gestire una crisi assolutamente indesiderata fatta esplodere da un alleato chiaramente incompetente e inaffidabile, fuorviato da un ego sproporzionato alle sue effettive capacità. Episodi come il sabotaggio del North Stream (chiunque ne sia l’effettivo responsabile), l’accesso di Svezia e Finlandia nella NATO, l’uscita della Russia dalla maggior parte delle istituzioni e dei trattati europei, l’interruzione dei rapporti commerciali, la netta scelta di campo di tutti i Paesi europei senza eccezioni (svizzera compresa), i crimini di guerra commessi dalla forze russe e documentati presso il Tribunale Internazionale, e soprattutto la proclamazione della Federazione Russa quale “sponsor del terrorismo”, rendono impossibile un ritorno alla situazione precedente al conflitto o anche solo ad una situazione di coesistenza pacifica con il Regime russo. Semplicemente, i Paesi democratici occidentali non potrebbero riprendere le relazioni con un Regime ormai ufficialmente definito “criminale”. Ormai il tracciato della politica occidentale verso il Regime è tracciato, e anche volendo sarebbe impossibile uscirne: il proseguimento del sostegno politico, militare ed economico all’Ucraina fino al ripristino della sua integrità territoriale è inevitabile. L’unica cosa in dubbio è il tempo che questo occorrerà… All’Occidente conviene che le cose si concludano entro l’anno, e quindi è presumibile che gli sforzi comuni convergano per ottenere un tale risultato. Che il ripristino delle frontiere internazionalmente riconosciute implichi la sconfitta militare della Russia è una conseguenza naturale, seppure non desiderata; mentre che a questa sconfitta quasi certamente seguirà un cambio di Regime a Mosca invece appare ormai conveniente. Il problema semmai sarà ottenere la caduta del Regime senza provocare anche la destabilizzazione della Federazione Russa, che provocherebbe un’instabilità senza precedenti e assolutamente indesiderabile. Che questo stato di fatto delle relazioni internazionali sia corretto, è confermato dall’atteggiamento cinese.
La Cina, oggettivamente alleata della Russia nell’opporsi all’egemonia occidentale, non vede alcun vantaggio nel conflitto in atto: al contrario, ne è pesantemente disturbata per il dissesto che apporta nei commerci internazionali (la cui stabilità è fondamentale per la ripresa economica cinese dopo il COVID) e per il riarmo occidentale che ha provocato, che a sua volta mette a repentaglio gli obiettivi cinesi in Asia.
In forza di questo, la Cina non solo continua ad astenersi all’ONU sulle mozioni di condanna dell’aggressione russa invece di votare contro, ma ha anche offerto un contributo alla causa del suo alleato del tutto inadeguato alle sue possibilità reali: in pratica, nulla più di un sostegno clandestino.
Se da un lato infatti Beijing non vuole perdere la protezione gratuita dell’ombrello strategico russo, non vuole neppure compromettere i suoi rapporti commerciali con l’Occidente, dai quali dipende la sua economia: un’estensione anche solo parziale delle sanzioni occidentali alla Cina comprometterebbe la sua ripresa economica e precipiterebbe una crisi catastrofica. Le relazioni commerciali con la Russia rappresentano infatti una frazione irrisoria di quelle con l’Occidente, e questo è cruciale per la politica cinese. L’imbarazzo cinese nella gestione della crisi è evidente anche dai contenuti deludenti del “progetto di pace” presentato ad un anno esatto dall’inizio delle ostilità: in sostanza si tratta semplicemente di una proposta articolata di armistizio, e nulla più.
Quello che però è interessante, è analizzarne i termini, dai quali si evince come anche Beijing sia ormai giunta alla conclusione che le possibilità russe di pervenire ad un successo militare siano pressocché nulle.
Al primo punto infatti si ribadisce l’inviolabilità dell’integrità territoriale delle Nazioni, che per la Cina è fondamentale. Ovviamente si tratta di un punto necessario per convincere l’Ucraina anche solo a leggere la proposta, ma in sostanza elimina da subito ogni dubbio sulle possibilità di Putin di raggiungere i suoi obiettivi politici. Segue ovviamente il sollecito per il riconoscimento delle preoccupazioni russe sulla sicurezza nazionale, e quindi la proposta per un’Ucraina neutrale e la condanna dell’”espansione” della NATO, anche questi punti classici della diplomazia cinese. C’è poi – più interessante di tutti – la parte dedicata alla minaccia nucleare. La Cina ribadisce con forza il ripudio dell’uso di armi non convenzionali ed anche solo della minaccia del loro impiego: aspetto questo che di fatto previene l’uso da parte russa di quello che sarebbe in effetti l’unica capacità residuale in suo possesso per elevare ulteriormente il livello dello scontro. Trattandosi in definitiva di una proposta di armistizio e nulla più, ed essendo un semplice armistizio sulle posizioni attuali già stato abbondantemente rigettato da entrambi i contendenti, quella cinese è chiaramente un’iniziativa puramente interlocutoria. Però indica altrettanto chiaramente l’opinione che il Partito e l’Esercito cinese hanno della situazione militare in Ucraina. Neanche il Dragone Xi ha più alcuna fiducia nelle capacità dell’orso Vladimiro di condurre a termine la sua smandrappata Operazione Militare Speciale.
Col. Orio Giorgio Stirpe, analista militare