Il welfare ha la finalità primaria di sostenere con l’intervento pubblico, e negli ultimi anni anche privato, chi ne ha bisogno. In uno Stato come l’Italia, caratterizzato da una forte diseguaglianza tra aree, con il Mezzogiorno che per Pil e consumi risulta molto al di sotto della media nazionale, ci si aspetterebbe dunque che la spesa per i servizi fosse più elevata al Sud o, nel peggiore dei casi, non si discostasse da quella del resto del Paese. Non è affatto così. Pochi giorni fa sono stati ufficializzati i dati Istat sulla spesa sociale dei Comuni nel 2020. Nel Sud la spesa media pro-capite è di 66 euro, quella media nazionale è il doppio: 132 euro. Il Sud riceve poco più di un terzo di quello che si eroga nel Nord Est (184 euro). La pandemia ha aggravato la situazione, ma anche nella rilevazione precedente del 2016, gli squilibri erano marcati. Nel Mezzogiorno veniva erogato appena il 10% dell’importo finalizzato ai servizi socio-assistenziali. Per il supporto ai disabili, ad esempio, nel Nord Est si spendeva circa sei volte quanto si destinava al Sud: 5150 euro pro-capite, a fronte di appena 865! Questa iniqua ripartizione della spesa impatta, inevitabilmente, sulla qualità della vita della popolazione. In quasi il 30% dei Comuni del Sud non esistono servizi di assistenza domiciliare agli anziani in condizioni di fragilità, mentre la percentuale per il Centro Italia è inferiore al 15% e quella del Nord non arriva al 10%. Nel Sud mancano scuole a tempo pieno, mense, palestre. E tutte queste lacune non sono frutto del caso, ma di criteri distributivi che si basano essenzialmente sulla spesa storica. Una metodologia ‘neutra’ e ‘conservativa’, rispetto all’esistente. Non hai speso nulla in passato per un asilo nido? Ti tocca zero. Hai speso 100? Ti diamo 100. Insomma, è l’esatto contrario della filosofia che sottende l’intervento di welfare. L’auspicio è che l’attuale Governo, che nessuna responsabilità ha per il passato, possa imprimere una svolta al riguardo. A cominciare dalla definizione e attuazione dei livelli essenziali di prestazione. Tutte le forze politiche, ma in particolare quelle di maggioranza che hanno un forte radicamento elettorale al Sud, come Fdi e Fi, prendano di petto la questione meridionale e portino avanti una strategia di crescita del Paese che faccia leva su un forte rilancio del Sud. Vincere questa sfida significherebbe migliorare la condizione dell’intero Paese, incluse le cosiddette aree forti.