Una elaborazione della Fondazione Symbola, sulla base di dati di fonte Unesco, ci ricorda che l’impresa della cultura e della creatività sviluppa il 3,1% del Pil mondiale e occupa il 6,2% della forza lavoro complessiva. La pandemia ha colpito il settore, con una perdita di fatturato di circa il 10%, ma la ripresa delle attività ha innestato una inversione di tendenza positiva, i cui effetti si faranno sentire in maniera sempre più feconda nel prossimo futuro. Le potenzialità di questa grande risorsa economica, oltre che culturale, stanno anche nella varietà delle sue espressioni. Intorno al concetto di impresa della cultura ruotano attività e produzioni come l’architettura e il design, la comunicazione, la musica e gli audiovisivi, i videogiochi e il relativo software, l’editoria e la stampa, le performing arts e le arti visive, la valorizzazione del patrimonio storico e artistico. A questi comparti ‘core’ si aggiunge il cosiddetto ‘Creative driven’, ossia tutte quelle forme espressive che impiegano contenuti e competenze culturali e creative per accrescere il valore dei propri prodotti. Anche sul fronte dell’impresa cultura, purtroppo, il Mezzogiorno d’Italia è in ritardo. In Italia, ovviamente, il peso dell’industria culturale è maggiore che in altre aree del mondo. L’incidenza sul totale dell’economia nazionale è pari al 5,6%, ma il valore aggiunto di cultura e creatività nel Meridione non supera il 3,8%. La capofila del Sud è la Campania, ma anche qui non si va oltre un’incidenza sul valore aggiunto prodotto complessivamente nella regione di 4,1 punti percentuali. Si può, si deve fare di più! Lo ha ben presente il Ministro Gennaro Sangiuliano, che proprio a Napoli e nel Mezzogiorno sta, con una serie di progetti di vasto respiro (si pensi solo al recupero di Palazzo Fuga!), cercando di avviare un processo di rilancio che, recuperando le radici del sapere, dia impulso anche all’attività economica. Ci sono ampi margini di miglioramento. Per fermarci a Napoli, basti pensare che, al 2021, il ‘fatturato’ cultura prodotto era inferiore a 2 miliardi e mezzo di euro, a fronte degli oltre 15 miliardi di Milano, e che gli occupati erano circa 47.600 contro i 192.200 del capoluogo lombardo. Eppure, se ci si limita a guardare al patrimonio di risorse storiche, culturali, alla produzione di serial tv, ai primati conseguiti da scrittrici e scrittori, registi e attori, Napoli può legittimamente ambire al titolo di capitale culturale italiana. Ed è molto importante che, fortunatamente, lo abbia presente anche il Governo centrale.