Il presidente Lombardi: “Uomini e mezzi per aiutare le popolazioni colpite. Disponibili 20 miliardi di euro contro il dissesto idrogeologico: sforzo maggiore per semplificare e velocizzare gli interventi”
ROMA – Il presidente nazionale di Federcepicostruzioni, Antonio Lombardi, esprime solidarietà e vicinanza alle popolazioni colpite in queste ore dalle drammatiche alluvioni in Emilia-Romagna. «Abbiamo sollecitamente attivato – dichiara – un censimento tra le imprese associate per raccogliere la disponibilità di uomini e mezzi, e far fronte all’emergenza al fine di garantire un rapido ritorno alla normalità nei territori colpiti. Nelle prossime ore forniremo quindi un dettagliato elenco alla Protezione Civile e alle amministrazioni locali, offrendo tutto il nostro concreto supporto».
Il dramma consumatosi in questi giorni è purtroppo l’ennesima riprova della necessità e dell’urgenza di investire per la messa in sicurezza del territorio e la prevenzione del dissesto idrogeologico.
Il Rapporto ISPRA sul Dissesto idrogeologico
L’ultimo Rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia, presentato lo scorso anno dall’ISPRA, fornisce un quadro di riferimento sempre più preoccupante: rispetto al precedente Rapporto (2018) si evince un incremento percentuale del 3,8% della superficie classificata a pericolosità da frana elevata e molto elevata e del 18,9% della superficie a pericolosità idraulica media. Complessivamente il 93,9% dei comuni italiani (7.423) è a rischio per frane, alluvioni e/o erosione costiera. 1,3 milioni di abitanti sono a rischio frane (13% giovani con età inferiore a 15 anni, 64% adulti tra 15 e 64 anni e 23% anziani con età superiore a 64 anni) e 6,8 milioni di abitanti a rischio alluvioni. Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia, e Liguria. Le famiglie a rischio sono quasi 548.000 per frane e oltre 2,9 milioni per alluvioni. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, quelli ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 565.000 (3,9%), quelli ubicati in aree inondabili nello scenario medio sono oltre 1,5 milioni (10,7%). Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84.000 con 220.000 addetti esposti a rischio; quelli esposti al pericolo di inondazione nello scenario medio sono oltre 640.000 (13,4% del totale). Il Rapporto contiene anche una stima dei Beni Culturali a rischio frane e alluvioni. Degli oltre 213.000 beni architettonici, monumentali e archeologici, quelli potenzialmente soggetti a fenomeni franosi sono oltre 12.500 nelle aree a pericolosità elevata e molto elevata; raggiungono complessivamente le 38.000 unità se si considerano anche quelli ubicati in aree a minore pericolosità. I Beni Culturali a rischio alluvioni sono quasi 34.000 nello scenario a pericolosità media e raggiungono quasi i 50.000 in quello a scarsa probabilità di accadimento o relativo a eventi estremi. Per la salvaguardia dei Beni Culturali, è importante valutare anche lo scenario meno probabile, tenuto conto che, in caso di evento, i danni prodotti al patrimonio culturale sarebbero inestimabili e irreversibili.
Le “semplificazioni” che hanno complicato il quadro
È la burocrazia ad impedire solleciti interventi: il quadro finanziario è infatti chiaro (come chiare sono le competenze) ma si fatica a trasformare programmazioni e progettualità in lavori concreti per il contrasto e la prevenzione del dissesto idrogeologico, sempre più un’emergenza nazionale. Non è un caso che il PNRR gli dedichi una specifica attenzione nell’ambito della Missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica”, destinando a tale emergenza dal 2020 al 2026, un totale di 2,487 miliardi di euro, di cui 1,287 di competenza del Ministero della transizione ecologica per progetti già in essere, con risorse esistenti nel bilancio e 1,2 miliardi della Protezione civile, di cui 800 milioni rappresentate da risorse aggiuntive. Una recente indagine della Corte dei conti ha inoltre esaminato lo stato di attuazione del Piano per la mitigazione del rischio idrogeologico (Dpcm 20 febbraio 2019) c.d. “ProteggiItalia”, nato proprio con la finalità di operare una ricognizione delle risorse nazionali ed europee e di superare l’approccio emergenziale al tema. Paradossalmente, tra i fattori congestionanti dal punto di vista procedurale, secondo la Corte dei conti, sono proprio quelle gestioni straordinarie e commissariali che avrebbero invece dovuto velocizzare gli interventi: «Occorrono interventi di semplificazione dei processi – rivendica il presidente Lombardi – che consentano il ritorno ad un regime ordinato e semplificato delle competenze, e un rientro ad una programmazione ordinaria della gestione del territorio che garantisca la progettazione e la realizzazione degli interventi, ed una adeguata pianificazione così come previsto dalle Direttive europee 2007/60/CE c.d. “Direttiva alluvioni”, e 2000/60/CE (c.d. Direttiva Acque)». Le semplificazioni fin qui introdotte, non sono valse a velocizzare l’adozione dei processi decisionali e quelli attuativi, condizionati dalle lunghe e articolate “concertazioni” nazionali e locali. Ulteriori problematiche irrisolte sono rappresentate dalla scarsa capacità progettuale delle Regioni, la carenza di profili tecnici e la scarsa pianificazione del territorio. Sul fronte della Governance, la Corte dei conti ha evidenziato la molteplicità delle strutture (cabine di regia, strutture di missione, segreterie tecniche, task force centrali e regionali, etc.) che ha finito per frammentare e rendere ancor più caotico il quadro dei processi decisionali e delle relative responsabilità.
Miliardi di euro bloccati dalla burocrazia
Il quadro delle risorse disponibili per arginare i rischi è chiaro, ed investe in particolar modo le amministrazioni locali (Regioni, anche con poteri commissariali, Comuni, più marginalmente le Province) non in grado però di far fronte alla progettazione e cantierizzazione sollecita degli interventi. Il solo PNRR prevede risorse per 2,49 miliardi di euro per Misure legate alla Gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico, gestite dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica o dalla Protezione civile. «La cantierizzazione degli interventi – aggiunge ancora il presidente Lombardi – è però demandata in massima parte ai Comuni, e marginalmente alle Province: enti che molto spesso, soprattutto nel Mezzogiorno, non dispongono delle risorse umane, tecniche ed organizzative per avviare, gestire e monitorare i lavori. Questo determina una assurda situazione di stallo con le conseguenze cui abbiamo purtroppo sistematicamente assistiamo nelle situazioni di emergenza». Una fetta considerevole delle risorse PNRR è infatti destinata proprio all’Emilia-Romagna, 98 milioni di euro per 222 progetti (sui 1725 finanziati in tutta Italia, in buona parte al centro-nord). «Purtroppo però – è il commento del presidente Lombardi – proprio l’attuazione del PNRR è la riprova evidente delle problematiche che in Italia frenano gli interventi di tutela e messa in sicurezza del territorio. Dei 2,49 specifici per questa misura, siamo fermi ad una spesa del 16,89% a fronte di un impegno all’utilizzo delle risorse che, nel 2023, dovrebbe toccare il 58,44%. Soltanto nel trimestre in corso, e quindi entro il 30 giugno, la spesa dovrebbe raggiungere il 28,65%». Fortissimi rallentamenti continuano a condizionare anche l’attuazione del citato “Piano nazionale per la mitigazione del rischio idrogeologico, il ripristino e la tutela della risorsa ambientale”, c.d. ProteggiItalia, che ha mobilitato risorse economiche, nazionali e comunitarie, pari a 14,3 miliardi di euro in 12 anni, dal 2018 al 2030, destinate alle Regioni e agli enti locali.
Il Piano ha avuto il pregio di unificare il quadro generale dei finanziamenti, ma non ha risolto i problemi dell’unificazione dei criteri e delle procedure di spesa, dell’unicità del monitoraggio e dell’accelerazione della spesa (è quanto emerge anche da una recente indagine della Corte dei conti, che sottolinea come l’Italia, con circa i 2/3 delle frane censite in Europa, sia il Paese maggiormente interessato da fenomeni franosi). “Occorre un nuovo assetto organizzativo ed una nuova governance del territorio – conclude il presidente Lombardi – per superare sollecitamente criticità sempre più evidenti ed ormai note, e soprattutto pianificare costantemente le attività di progettazione, monitoraggio e gestione attuativa».