Li chiamano “angeli della morte”, in attinenza ai biblici messaggeri alati incaricati da Dio di distribuire castighi, punizioni, se non la morte, agli uomini peccatori. Si tratta di medici, infermieri o chiunque altro uccida nell’ambito di ospedali, RSA e, in genere, nel settore caregiving. Questo tipo di serial killer è più diffuso di quanto si possa pensare e colpiscono senza pietà vittime in un momento di evidente debolezza. Persone, quindi, che si trasformano, e da figure salvifiche diventano dispensatori di morte. Tale epiteto venne utilizzato per la prima volta in riferimento a Josef Mengele, il famigerato medico nazista reo di aver condotto esperimenti disumani, e quasi sempre mortali, su un numero altissimo dei prigionieri del campo di concentramento di Auschwitz. Da allora, vi sono stati diversi altri casi di medici e infermieri assassini, e tutti suscitano nell’opinione pubblica un misto di orrore e paura proprio per il contrasto tra la natura stessa della professione medica e il sadico istinto omicida delle persone coinvolte in vicende simili. Fra i casi italiani più noti: il medico Leonardo Cazzaniga, il becchino Antonio Busnelli, il satanista Alfonso de Martino, gli infermieri Angelo Stazzi e Sonya Caleffi. Mentre a livello internazionale ci sono stati Harold Shipman, il medico britannico che uccideva i suoi pazienti con l’eroina, Christina Aistrup Hansen, l’infermiera serial killer la cui storia ha ispirato la serie Netflix “The Nurse” e l’ostetrica Miyuki Ishikawa, solo per citarne alcuni. L’ultimo è il tedesco Niels Högel, l’infermiere tedesco che ha tolto la vita almeno a 84 pazienti ma che è sospettato di averne uccisi più del doppio. E il suo spaventoso record di follia è circoscritto a 3 anni, dal 2003 al 2005compresi, in cui l’angelo della morte avrebbe confessato di aver iniettato una dose letale di un farmaco per malattie cardiache almeno a 90 pazienti di cui 30 sarebbero morti di conseguenza. Ma si teme che il numero salga a 200. Il motivo? Desiderava che il suo lavoro venisse apprezzato dai colleghi. In Norvegia, dal 1977 al 1980, fece scalpore la storia di Arnfinn Nesset che confessò di aver tolto la vita con derivato del curaro a 138 pazienti, ma di non ricordare quanti fossero in realtà. Perché? Non sapeva frenarsi, aveva confessato durante il processo. Il gruppo dei serial killer Stefania Mayer, Maria Gruber, Irene Leidol e Waltraud Wagner sono gli infermieri dell’ospedale viennese di Lainz che tra il 1982 e il 1989 uccisero 41 persone somministrando dosi massicce di insulina e calmanti. Il killer del New Jersey che ha fatto 330 vittime In New Jersey e Pennsylvania, Charles Cullen ha confessato di aver ucciso almeno 40 pazienti, durante 16 anni di lavoro, ma le morti a lui attribuibili sarebbero quasi 300. Al momento del suo arresto, nel 2003, aveva 43 anni. L’infermiere che uccideva per arrotondare uccideva i pazienti per poi intascare i soldi delle pompe funebri. Antonio Busnelli, incarcerato con l’accusa di omicidio volontario plurimo nel 1992 era infermiere all’ospedale di Milano Fatebenefratelli nel reparto di rianimazione e, per “arrotondare”, somministrava ai suoi pazienti più gravi l’isoptin, una vasodilatatore provocando loro crisi cardiache fatali. L’angelo della morte di Paranà nell’ospedale evangelico di Curitiba, nello stato meridionale del Paranà, un’anestesista brasiliana di 56 anni nel 2013 è stata condannata per aver ucciso oltre 300 pazienti per “liberare posti letto nel reparto di terapia intensiva da lei diretto”. In Italia vi sono stati diversi casi eclatanti di personale sanitario coinvolti in casi di omicidi seriali. Sonya Caleffi, una infermiera professionista con pregressi problemi di depressione, tendenze suicide e anoressia nervosa, venne condannata nel 2007 per l’omicidio di cinque pazienti e il tentato omicidio di altri due tramite l’iniezione di aria per provocare una embolia polmonare. L’infermiere Angelo Stazzi, invece, venne condannato all’ergastolo per aver ucciso, tra il gennaio e l’ottobre del 2009, sette pazienti della casa di riposo Villa Alex di Sant’Arcangelo Romano, dove lavorava dal 2008. L’uomo, che aveva ucciso anche la propria ex compagna, aveva indotto alle proprie vittime «una grave ipoglicemia determinata dalla somministrazione di farmaci». Sicuramente la coppia più famosa di ‘angeli della morte’ italiani, però, sono Leonardo Cazzaniga e la sua compagna Laura Taroni, aiuto primario di Pronto soccorso e infermiera presso l’ospedale di Saronno, che attuavano il cosiddetto ‘protocollo Cazzaniga’, un cocktail letale di farmaci che ha provocato la morte di almeno tredici persone tra il 2011 e il 2014. In un delirio di onnipotenza, la coppia assassina si proclamava, con orgoglio, autori di «omicidi perfetti» e in «possesso di menti geniali», avendo ucciso non solo dei pazienti inermi ma anche la madre e il marito della Taroni che, dalle intercettazioni telefoniche, appariva anche disposta a far assassinare i propri figli pur di compiacere il compagno. Nel 2005, si aprì in Svizzera il processo contro l’unico infermiere killer della storia criminale elvetica, responsabile di aver ucciso ventiquattro pazienti di case di cura a Lucerna, Obvaldo e Svitto, tra il 1995 e il 2001, e di aver attentato alla vita di altri tre. Le vittime sono morte soffocate o per una overdose di tranquillanti e avevano una età compresa tra i sessantasei e i novantacinque anni. L’infermiere, dichiarato perfettamente capace di intendere e volere, dichiarò di aver agito per compassione e in quanto stressato dall’eccessiva mole di lavoro affidatogli. Statisticamente, in tutto il mondo, rileva Giovanni D’Agata presidente dello “Sportello dei Diritti”, le vittime ideali sono quelle che non possono difendersi, che non possono reagire, che non possono parlare, testimoniare, anche nel caso restino vive, quindi pazienti allettati da molto tempo, magari con malattie neurodegenerative, pazienti anziani che, anche se dovessero accusare qualcuno, non verrebbero creduti. Oppure pazienti psichiatrici. E poi bambini, neonati. Tuttavia questi delitti non riscuotono lo stesso interesse di altri omicidi perché le vittime non hanno lo stesso appeal di altre vittime. La vittima di un angelo della morte, spesso, è una persona ottuagenaria, allettata da tempo e, per di più, rinchiusa in una casa di riposo o in un ospedale. Luoghi in cui la morte è attesa. Non c’è notizia in un novantaseienne che muore in casa di riposo, a meno che non sia stato un personaggio pubblico. E gli angeli della morte contano sul fatto che loro vittime siano invisibili. E non è per cattiveria dei giornalisti, categoria di cui faccio parte, ma perché davvero è notiziabile ciò che ha un interesse o ha una rilevanza nazionale. Fanno notizia solo quando le morti diventano tante, tantissime. C’è poi un altro aspetto: gli ospedali sono luoghi di cattività in cui accadono cose che fuori, in società, non si vedono. I parenti stessi delle vittime non hanno nemmeno occasione di conoscersi tra loro e, nella maggior parte dei casi, vengono a sapere che il loro caro è stato ucciso solo perché viene aperta un’indagine. A posteriori. Motivo per cui anche stabilire la colpevolezza dell’angelo della morte non è cosa semplice. Vale, per chi lavora in ospedale o nell’ambito del caregiving, a qualsiasi titolo, che le coincidenze non esistono: se il turno di un infermiere, di un medico o di un’infermiera viene chiamato “turno della morte” è necessario denunciare.