Parla il Direttore del Centro Studi Lepre Group

L’Italia continuerà a crescere anche nel 2023 oppure il pil tornerà a perdere colpi? Le previsioni dell’ultimo Bollettino mensile di Bankitalia condizionano questa prospettiva a una decisione esterna: la cessazione completa o meno delle forniture di gas da parte di Mosca. Se lo stop non dovesse esserci, il pil anche il prossimo anno aumenterà, sia pure soltanto dello 0,3%. L’inflazione sarà contenuta entro i 6,5 punti percentuali. Le cose cambieranno considerevolmente se il blocco dovesse scattare. In questo caso, il pil scivolerà indietro di 1,5 punti percentuali, mentre l’inflazione crescerà oltre gli attuali 8,5 punti per superare almeno quota 9%. Sul tema abbiamo interpellato l’economista Anna Lepre, Direttore del Centro Studi Lepre Group.

Lo scenario futuro per il nuovo Governo è piuttosto incerto, non trova?

Indubbiamente. Una cosa è gestire una frenata in un processo di rilancio economico che dovrebbe comunque riprendere a ritmi apprezzabili nel 2024. Altra cosa è fronteggiare la recessione provocata dal blocco del gas. Se il pil scende dell’1,5, la chiusura di aziende e l’aumento dei licenziamenti sarà pressoché inevitabile.

In ogni caso, sono variabili indipendenti dalle decisioni dell’Esecutivo…

La scelta di fondo, giusta, è stata quella espressa con autorevolezza dal nuovo Presidente del Consiglio Meloni. L’Italia resterà saldamente sull’asse delle alleanze occidentali, Usa e Ue continueranno a difendere il popolo ucraino. Ciò non significa evitare di interrogarci su strategie e azioni da porre in campo per far evolvere la situazione verso una soluzione di pace, che tutti auspichiamo.

In che senso è possibile cercare nuove strade?

Non è necessario ancora farlo, ma occorre monitorare con attenzione e con ragionevole certezza di analisi gli effetti delle misure finora intraprese dall’Occidente per contrastare l’invasione. Se le sanzioni economiche disposte contro la Russia e gli armamenti forniti all’esercito ucraino saranno in grado di impattare decisamente sul sistema moscovita, spingendo i suoi vertici a cercare con convinzione e ragionevolezza un tavolo di trattativa per una pace possibile, vuol dire che i costi umani e sociali finora pagati non sono stati vani.

Intende il tributo di sangue originato dal conflitto?

Quello, naturalmente, è al primo posto. E’ la tragedia di un popolo, con quella connessa di tante giovani vite umane spezzate anche tra i soldati russi invasori. Ma non trascurerei il dramma sociale che stanno vivendo le famiglie di coloro che hanno perso un lavoro a causa della crisi economica determinata dalla guerra e dall’aggravamento conseguente di fenomeni come il caro energia.

Cosa fare allora?

La premessa, naturalmente, è che alcune opzioni potenzialmente in campo sfuggono a qualsiasi tentativo di razionalizzare la situazione. Mi riferisco alla possibilità di tensioni crescenti e alla spaventosa minaccia nucleare. 

Quindi?

Dobbiamo continuare ad agire finché vi sono margini, per ricercare soluzioni. In questo senso, in un futuro anche prossimo, credo vi sia uno spazio politico per l’intervento del Presidente Meloni, ancorato alle intese occidentali e nel contempo finalizzato a salvaguardare sia ideali irrinunciabili sia interessi di cittadini e imprese. Immagino che questa ipotesi possa concretizzarsi soprattutto se dovessero tardare a palesarsi quegli effetti di benefica destabilizzazione del sistema russo su cui l’Occidente ha puntato con le misure finora varate. 

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