Partecipa a spettacoli in ambito nazionale con le compagnie Movimento Danza ed Efesto. Nel 1987 prende parte alla fondazione del “Laboratorio Itinerante” diretto da Antonio Neiwillere promosso da Teatri Uniti. Partecipa a laboratori teatrali tenuti da: Antonio Neiwiller, Reina Mirecka, Leo De Berardinis, Renato Carpentieri, Marco Baliani, Mamadou, Dioume, Yoshi Oida, Germana Giannini, Carlo Merlo. Nel corso della sua carriera ha partecipato a diverse produzioni cinematografiche e televisive. Inoltre, ha una solida esperienza teatrale sia come attore che come regista.
<< Ho scoperto il teatro da spettatore in realtà. Mi ritrovai ad uno spettacolo epocale, per quanto mi riguarda, – La gatta cenerentola -di Roberto De Simone, da studente, in una mattinata organizzata dalla scuola, appunto. Fui folgorato da quella fisicità, da quella vocalità espressa in maniera così potente dalle attrici in scena. Un primo seme di sicuro si è piantato nel cuore grazie a quel poderoso spettacolo. Successivamente in secondo e terzo liceo classico, ho avuto come professore di Storia e Filosofia, Enzo Moscato, una sera invitò noi, suoi alunni, a teatro e vidi – Scannasurice – da lui interpretato alla Sala Assoli, tra il 1982/83, fu un fatale shock passionale. Aggiungiamo a tutto ciò il clima coinvolgente degli anni ottanta a Napoli, tra musica, video teatro, cultura e fermenti giovanili e il quadro è completo. Tutto cominciò sul serio, dalla partecipazione ad una audizione indetta da Gabriella Stazio, per istruire ed inserire danzatori di genere maschile nella sua compagnia tutta al femminile.
Non mi sono fermato mai più. Era il 1984. >>
Lei ha lavorato intensamente tra teatro, cinema e televisione. In che modo queste tre realtà si influenzano reciprocamente nel suo percorso artistico?
<< Francamente non ci ho lavorato e non ci lavoro come desidero, o come comunque si era prospettato l’inizio. Nel senso che a teatro tutto è iniziato con un maestro, Antonio Neiwiller e il percorso non si è mai interrotto. Mentre nel cinema, ho avuto un momento molto intenso e bello negli anni ’90, partecipando ai film di Mario Martone, – Morte di un matematico napoletano – Teatro di Guerra – fino a – Noi credevamo – esperienza di gruppo di lavoro molto coinvolgente e seducente, in un carcere borbonico che si trova a Lucera, in Puglia. Ci fu un rallentamento temporale, fino ad una parentesi in ascesa con i Manetti Bros, con cui ho girato – Song ‘ Napule – Ammore e Malavita e anche un bell’episodio di – Coliandro. Poi tutto si è stranamente fermato, diradato, fino a trasformarsi in partecipazioni di brevi prestazioni, anche se in tutte le serie girate a Napoli. Un cameo, mi si conceda la battuta, l’ho fatto in ogni progetto realizzato qui: Un posto al sole, Gomorra, L’amica geniale, Mina Settembre, Mare fuori, altre ancora… Mi piacerebbe molto comunque alternare le modalità di impiego del mestiere dell’attore, tra l’audiovisivo e lo spettacolo dal vivo. A mio avviso esse si compenetrano, intrecciano, si fondono pur restando separate, restituendo all’attore la possibilità di variegare molto il suo ambito d’azione. >>
<< È complesso rispondere con sincerità a questa domanda, quaranta anni di esperienza sono molti, allineano nella memoria emotiva, tantissimi particolari, infinite temperature emotive, piccoli gesti, camminate, posture, modi di guardare, soprattutto di ascoltare. Ho vissuto molteplici vite, in scena, ogni volta innamorandomi, concedendomi senza riserve, spendendo tutte le possibili energie, cercando in ogni direzione del mio essere, del mio carattere,
del mio animo, insomma mi viene da rispondere con una bellissima affermazione poetica del poeta portoghese Fernando Pessoa, contenuta nel ‘Libro dell’inquietudine di Bernardo Soares: «Ognuno di noi è più di uno, è molti, è una prolissità di sé stesso». Ecco questo mi sento io, vivo il mio corpo come ‘una folla spaventata’. >>
Sono stato una persona fortunata sotto questo aspetto, ho fatto nel mio percorso tanti, tanti incontri belli, formativi, che mi hanno sì arricchito e mi ha consegnato un solido mestiere, costruito e basato prima di tutto sulla continua ricerca, messa in discussione, ascolto, disponibilità e generosità. Che dire, ho lavorato con Antonio Neiwiller, Mario Martone, Alfonso Santagata, Renato Carpentieri, Toni Servillo, Robert Carsen, Massimo Luconi, Giuseppe
Dipasquale, Andrea De Rosa, Cristina Pezzoli, molti, molti altri, con ciascuno ho percorso un viaggio in cui mi sono sempre e totalmente ingaggiato, desidererei e tornerei a lavorare con tutti, veramente, sono profondamente sincero… >>
<< Riprendo e integro la seconda domanda, le differenze sono tutte interne all’intensità dell’azione e della gestione relativa all’energia. Sono tre campi di impiego che si basano sulla stessa dinamica e modalità, a mio modesto avviso, c’è un profondo e completo cambio di potenza della proiezione emotiva, nella sua componente esteriore. Si lavora sulla portata della proiezione, utile ad
investire lo spettatore. >>
<< Sono convinto che ci sia necessità del ritorno all’animalità interiore dell’attore. Tutto mi appare così edulcorato, estetico, esteriore, patinato, insomma una sana e vitale animalità per restituire all’attore la forza di diffondere il famoso virus della ‘peste’ come Antonin Artaud definiva l’atto artistico. Qualcosa che dovrebbe cambiare lo spettatore, convenuto alla visione, mentre oggi si parla di intrattenimento, di svago, di divertimento, non nel senso di ‘divertere’, di volgere altrove, cambiare direzione, ma proprio nel senso di ammansirsi, assopirsi, acquietarsi con due risate… >>
<< Domanda interessante, seppur spinosa, mi pone di fronte ad una complessità. Storicamente si è creata tra gli spettatori la falsa idea che a teatro bisogna sempre capire, conoscere, fare propria la storia che viene raccontata, soprattutto in relazione al modo in cui viene proposta alla visione e all’ascolto. Io sono artisticamente nato e cresciuto nel periodo che ha visto crearsi una grossa frattura, tra la tradizione e l’avanguardia degli anni settanta, molto importante per aprire nuove visioni, altri sguardi, metodologie diversificate. Era molto frequentata la cosiddetta ‘scrittura scenica’, grazie alla quale la collaborazione tra regista ed attore a teatro, in alcuni casi particolari ed importanti anche al cinema, attraverso la visionarietà di registi molto sperimentali, donava allo spettatore opere di grande respiro suggestivo, senza spiegargli nulla, ma puntando a parlare al cuore, ai sensi, alla sensibilità dello spettatore che veniva continuamente stimolata ed allenata ad un certo tipo di rapporto informale, poco narrativo e più emotivo, insomma si realizzava un modo meno lineare, più
articolato di comunicazione. Interessante. Poi come sempre c’è stata una deriva e una promozione da ‘sei politico’ che se un valore aveva in termini sociali, politici, ideologici, in arte è una vera sventura. Mi sembra oggi che alcune scritture siano alla ricerca di una via di mezzo, compiendo enormi e
sovrumani sforzi, trovandosi a combattere con la televisione, che quasi sempre, appiattisce, omologa, smussa tutte le angolazioni, che sono poi, a mio parere le parti più interessanti nella cartografia delle relazioni tra esseri umani.
In questo momento storico, tenendo presente una affermazione del mio maestro, Antonio Neiwiller: tradizione è ciò che può essere ancora tramandato come vivo, reale, autentico, credo sia opportuno cercare la possibilità di parlare in maniera chiara, diretta, accorata, approfondita, sentita, evitando di spiegare ogni cosa, di accompagnare l’intelligenza dello spettatore, dell’ascoltatore, in ogni singolo passaggio, attraverso ogni concetto, ogni idea che si sente necessario esprimere. Ecco partire da ciò che è necessario, provare a trasmetterlo, senza avere bisogno di spiegarlo o sentirsi in dovere di farsi assolutamente comprendere. Insomma, per quanto mi riguarda aveva ragione il maestro Peter Brook: – Il teatro è la vita e la vita è nel teatro -. Non addossare mai agli altri la responsabilità di non aver capito, allo stesso tempo non trincerarsi sulla propria sicurezza di aver ben concepito il pensiero da condividere. >>
<< L’attore deve avere sempre presente l’ascolto del pubblico, non per concedersi in maniera vanitosa, piaciona e voluttuosa, ma per tenere sempre alto il livello di condivisione, è un atto d’amore quello teatrale, a mio parere esclude ogni forma di solipsismo. Il mio riferimento è quello della tensione di trasmissione che per come la raccontano gli storici, ancor più gli scrittori dell’epoca, apparteneva al rito della tragedia greca, naturalmente
intendendo con questo la volontà di svolgere una funzione sociale, in quanto portatori di storie che fungono da ‘specchio’ alla società, come ben ci ha trasmesso il nostro caro William Shakespeare. Credo che per far sì che il pubblico si immedesimi nei personaggi di commedia, ci vuole un livello molto alto di presenza totale dell’attore. >>
particolarmente?
<< Sempre elaboro idee, progetti, desideri che guardano al domani, in attesa di essere coinvolto come attore in avventure interessanti, è il segreto per non fermarsi a rimpiangere il tempo che passa. Avevo curato con Paolo Cresta e Raffaele Di Florio un bel progetto di messa in scena de – La cena – di Jean Claude Brisville, immaginario incontro tra Talleyrand e Fouché, all’indomani
della caduta di Napoleone, in cui i due importanti esponenti del regime decidono per proprio conto di avvalorare le ragioni della Restaurazione contro lo strapotere di Bonaparte. Affresco sulla corruzione, sulla decadenza dei costumi, sui tradimenti politici, tutto attraversato durante una raffinatissima cena, che avviene mentre in piazza si spara e si muore. Avevamo chiesto di
poter essere ospiti del Campania Teatro Festival, per sostenere le spese di produzione, insieme a qualche altro ente o teatro interessato, ma al momento siamo senza produzione, destino comune per molti registi ed attori che non sono fortunati ad avere un buon ombrello sulla testa, in questa ‘piovosa’ città. >>
<< Ma certo, mai occasione fu più giusta per pronunciare una frase che oramai è diventata un classico: CON GRINTAAAAAA!!! Un carissimo saluto a tutti i lettori, ‘venite, venite a teatro!’ >>