Il Viceministro dell’Economia, Maurizio Leo ha dichiarato che difficilmente la cedolare secca sugli affitti commerciali verrà estesa ed applicabile nel 2024 perché mancano nella legge di bilancio 2024 le risorse di copertura. Non si intravedono ipotesi di interventi in Legge di Bilancio 2024.
Parte delle misure nel cantiere della riforma fiscale sono state impiegate per le misure di riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori e lavoratrici, mentre resta al momento confermata la stretta per quel che riguarda gli affitti brevi.
È la legge delega sulla riforma fiscale a prevedere, all’articolo 5, l’estensione della cedolare secca agli affitti commerciali e, in particolare, alle locazioni di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo in caso di conduttore che sia esercente attività d’impresa, arte o professioni.
La misura consentirebbe quindi anche per gli affitti di negozi o uffici di accedere alla cedolare secca pari al 21 per cento in luogo della tassazione con le ordinarie aliquote IRPEF.
Non si intravede però la possibilità che la cedolare secca arrivi all’estensione già dal 2024. Se da un lato c’è quindi la volontà del Governo, dall’altro è necessario fare i conti con le risorse a disposizione. Se da un lato bisognerà quindi attendere per una possibile estensione della cedolare secca anche alle locazioni commerciali, dall’altro resta invece confermata la stretta in arrivo per gli affitti brevi.
Per i contratti infatti di durata non superiore a 30 giorni, in caso di affitto di più di un appartamento all’anno per brevi periodi, la cedolare secca è destinata a salire dal 21 al 26 per cento a partire dal 1° gennaio 2024.
La novità è contenuta nel testo del disegno di Legge di Bilancio 2024 in fase di esame in Senato, ma è in cantiere la possibilità che dall’aumento della tassazione per gli affitti brevi venga in ogni caso esclusa la prima casa.
Attualmente la cedolare secca è strutturata su due binari: per gli affitti a canone concordato e in presenza di specifici requisiti si applica l’aliquota del 10 per cento, sempreché il contratto a canone concordato sia stipulato a seguito di attestazione rilasciata dalle organizzazioni di categoria requisito indispensabile pe poter beneficiare delle agevolazioni fiscali così come chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 31/E del 20.04.2018; mentre per la restante categoria di locazioni la percentuale dovuta è del 21 per cento.
Sugli affitti brevi l’aliquota applicata è quella del 21 per cento e in tale perimetro rientrano anche le locazioni turistiche, secondo quanto previsto dal decreto legge n. 50/2017, che ha introdotto quella che è stata definita come “tassa Airbnb”, e dalle successive modifiche apportate dalla Legge di Bilancio 2021, che ha ridisegnato i requisiti per l’applicazione della cedolare secca.
Si rendendo più pesante le regole di tassazione degli affitti brevi anche con il fine di porre un freno al fenomeno delle locazioni turistiche nelle grandi città.
La tassazione del 26 per cento si applicherebbe alle locazioni brevi di durata non superiore a 30 giorni, inclusi i contratti che prevedono la prestazione di servizi di fornitura di biancheria e pulizia di locali, stipulati direttamente o tramite soggetti che svolgono l’attività di intermediazione immobiliare, compresi i gestori di portali telematici.
L’ipotesi era quella di rivedere le regole ad oggi previste in materia di applicazione della cedolare secca e, sul punto, si ricorda che ad oggi è possibile applicare il regime di tassazione più vantaggioso rispetto all’IRPEF in caso di affitto per finalità turistiche di un numero massimo di quattro appartamenti all’anno.
Superato tale limite, scatta l’obbligo di apertura della partita IVA per la gestione delle locazioni di brevi, con il conseguente passaggio alla tassazione IRPEF per aliquote e scaglioni.
Per il momento quindi la tassazione agevolata sugli affitti sarà oggetto di modifiche che risultano essere solo a sfavore del contribuente, e sarà necessario attendere che arrivino tempi migliori, sul fronte della disponibilità di risorse economiche, per una sua estensione.
A seguito dell’aumento dell’aliquota non è più scontata la convenienza rispetto alla tassazione ordinaria, ad esempio se il reddito complessivo non supera i 28.000,00 € oppure se il contribuente ha detrazioni da sfruttare in dichiarazione. Quindi bisogna prestare molta attenzione e valutare caso per caso le condizioni dei contribuenti per consigliare che tassazione applicare per pagare meno.