Nel giudizio di appello relativo al ricorso proposto da una associazione di tributaristi, con cui la stessa ha contestato il rifiuto, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di concedere l’abilitazione al rilascio del visto di conformità ad un tributarista, il Consiglio di Stato, con ordinanza 995 del 31 gennaio 2024, ha dichiarato “rilevanti e non manifestatamente infondate in relazione agli artt. 3, 41 e 117 comma 1 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzione dell’art 35 comma 3 decreto legislativo 9 luglio 1997 n. 241 nei sensi di cui in motivazione. Sospende il giudizio in corso e ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale”.
Secondo il Consiglio di Stato, in relazione alla disposizione prevista dal comma 3 dell’articolo 35 del dlgs 241/1997, che dispone che il visto di conformità è rilasciato dai «soggetti indicati dalle lettere a) e b) del comma 3 dell’articolo 3 del dpr 322/1998» – tra cui, come noto, non sono ricompresi i tributaristi – si porrebbe una violazione dei principi costituzionali di non discriminazione, ragionevolezza e libertà di iniziativa economica, e costituirebbe una restrizione non giustificabile alla luce della L. 4/2013.
Le associazioni nazionali di categoria non possono condividere un simile orientamento e ritengono non sia giustificabile una previsione normativa che regolamenta un adempimento così delicato quale l’apposizione del visto di conformità, adempimento riservato ai soli soggetti professionali, tra i quali i commercialisti e gli esperti contabili, i cui requisiti costituiscono garanzia per la collettività.
La garanzia è assicurata dal superamento dell’esame di abilitazione, peraltro indispensabile per accedere alla professione secondo quanto previsto dall’art. 33 della Costituzione, dall’assolvimento degli obblighi di formazione continua, dall’assoggettamento al codice deontologico, dal rispetto della normativa antiriciclaggio e dei connessi obblighi di segnalazione delle operazioni sospette, dalla vigilanza che l’ordine esercita sui propri iscritti e da quella che, a sua volta, il Ministero della Giustizia esercita sugli ordini territoriali oltre che sul Consiglio Nazionale.
È discutibile che, in un contesto che impone crescenti e spesso ingiustificati obblighi di specializzazione alla professione del commercialista, ci siano pronunce che sviliscono la funzione di garanzia della fede pubblica, che è propria delle professioni ordinistiche.
Non è solo per una garanzia del cittadino-contribuente ma è anche per la suprema certezza dello Stato al quale dovrebbe interessare che ad apporre il visto sia un commercialista. Questo proprio perché è lo stesso Stato che impone al professionista ordinistico una serie di obblighi, la cui origine sta proprio nella sua funzione di garanzia, medesimo ragionamento per cui si ritiene naturale che solo un farmacista possa dispensare farmaci.
Le associazioni auspicano, pertanto, che sia riservata una maggiore attenzione all’argomento e che la Corte Costituzionale possa valutare di pronunciarsi sull’importanza della fede pubblica e del ruolo di tutela della stessa che appartiene ai professionisti ordinistici.