Era una cosa rara, eccezionale. Si aveva paura persino a pronunciarla. Mai a verificarsi tra i giovani, o forse, semplicemente, mai a volerla vedere. Era un tabù andare dallo psicologo, anzi, eri pazzo se ci andavi. Eppure, ai giorni nostri è quasi una moda. Oggi non mi chiederei come si combatte la depressione. Oggi mi chiederei come la si riconosce. Soprattutto tra i più giovani. Perché non c’è farmaco o terapia che tenga se non vi è la buona volontà di lasciarsi guarire e, per voler guarire, si deve arrivare “in tempo”. Cosa può ammalare? Tristezza, ansia, impotenza verso un ritmo che ormai è sempre più serrato tra i nostri ragazzi. Ogni rapporto è sempre più esigente, la moda, lo sport, l’amicizia, persino l’amore. Bisogna essere sempre i più forti davanti alla ragazzina che piace, bisogna indossare sempre le ultime scarpe alla moda o bere davanti all’ultimo locale di tendenza. Per “farsi vedere”. Oggi è tanto “farsi vedere” e poco “essere”. Noi, genitori per primi. Fondazione Veronesi ha dato voce a uno studio svedese che ritiene che la depressione, soprattutto tra i più giovani, può riconoscersi anche nel fisico. A questi risultati è arrivata una ricerca, pubblicata sulla rivista Jama Psychiatry, del Karolinska Institutet svedese, guidata da Sara Bergen, la quale spiega: «Nella cura occorre considerare sia i sintomi psichiatrici sia somatici». Lo studio è stato condotto su 1.5 milioni di svedesi nati tra il 1982 e il 1996, seguiti fino al 2013. I dati sono stati dedotti dai registri nazionali sulla salute e sulle cause dei decessi. Sono stati analizzati i casi di quanti erano stati diagnosticati come depressi tra i 5 e i 19 anni di età (fascia considerata dagli autori come depressione giovanile). Fanno notare gli autori che si è partiti dai 5 anni perché la depressione nei primi anni di vita è diagnosticata raramente. Si individuano molti segnali somatici tra i ragazzi depressi. Al primo posto, l’autolesionismo. Non posiamo essere tuttologi, né onniscienti. Non possiamo fermare un sistema che ci inghiotte. Ma possiamo imparare a guardare un po’ meno il cellulare e un po’ più i nostri ragazzi, guardarli negli occhi, è così difficile.