La separazione delle carriere dei magistrati è un tema centrale nel dibattito sulla riforma della giustizia in Italia. L’ultima proposta di riforma, portata avanti da alcune forze politiche e discussa negli ultimi mesi, mira a modificare il rapporto tra magistratura giudicante (giudici) e requirente (pubblici ministeri), attualmente appartenenti a un unico corpo professionale.

La proposta di riforma sulla separazione delle carriere punta a istituire due carriere separate, una per i giudici e una per i pubblici ministeri. Questo significa che chi intraprende il percorso per diventare giudice non potrà in seguito passare al ruolo di pubblico ministero e viceversa, come invece è possibile oggi.

Per realizzare questa separazione, però, sarebbe necessaria una modifica della Costituzione, in particolare degli articoli 101, 104 e 107. 

L’Articolo 101, nell’attuale formulazione, recita: “La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge.”

Le implicazioni della riforma potrebbero comportare una distinzione tra giudici e pubblici ministeri anche nel principio della loro autonomia, specificando che i PM non dipendono dall’organo giudiziario ma da un sistema autonomo.

L’Articolo 104, nell’attuale formulazione, così recita: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.”

Nelle modifiche proposte, la riforma prevede l’istituzione di due organi distinti, ciascuno autonomo:

• Un Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) per i giudici.

• Un Consiglio separato per i pubblici ministeri.

L’articolo dovrebbe quindi essere riscritto per specificare la governance indipendente di questi due organi.

L’Articolo 107, nell’attuale formulazione, così recita: “I magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni.”

Questo articolo dovrebbe essere profondamente modificato per introdurre la distinzione formale tra i ruoli di giudice e pubblico ministero, prevedendo che i due percorsi siano separati fin dall’inizio della carriera.

L’Articolo 111, nell’attuale formulazione, così recita: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo e imparziale.”

La riforma potrebbe integrare specifiche garanzie per rendere il pubblico ministero completamente autonomo dal giudice, rafforzando il principio del “giudice terzo” e sottolineando il ruolo del PM come parte dell’accusa, distinta dall’organo giudicante.

Attualmente, il Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) governa sia i giudici che i pubblici ministeri. La proposta prevede, dunque, la creazione di due organi distinti: uno per i giudici, uno per i pubblici ministeri. Questo garantirebbe, secondo i promotori, maggiore autonomia e specificità nella gestione delle due carriere.

Un argomento centrale del dibattito è garantire che la separazione delle carriere non comprometta l’indipendenza del pubblico ministero e dei giudici, pilastri fondamentali dello Stato di diritto. I sostenitori (come alcune forze del centro-destra e associazioni di avvocati) ritengono che la separazione rafforzerebbe il principio di imparzialità, evitando commistioni e potenziali conflitti d’interesse tra chi accusa e chi giudica.

Gli stessi, infatti, ritengono che la separazione delle carriere aumenti la trasparenza e l’equità del sistema giudiziario. Secondo loro, un pubblico ministero che non appartiene alla stessa carriera dei giudici sarebbe più autonomo e neutrale.

I critici (tra cui molti magistrati e giuristi), invece, temono che la separazione possa ridurre l’indipendenza del pubblico ministero, avvicinandolo eccessivamente al potere esecutivo. Questo potrebbe minare l’equilibrio dei poteri e mettere a rischio il ruolo di garanzia della magistratura.

La separazione potrebbe rafforzare la percezione di equità da parte dei cittadini, evitando il sospetto che giudici e PM appartengano a un “corpo unico” e siano troppo vicini nelle decisioni.

Senza contare, poi, che eliminare la possibilità di passare da una funzione all’altra potrebbe evitare dinamiche di opportunismo o favoritismo nel sistema giudiziario.

D’altro canto, senza un forte controllo costituzionale, il PM separato potrebbe avvicinarsi troppo al potere esecutivo, come avviene in altri sistemi (ad esempio negli USA). Questo potrebbe compromettere l’indipendenza del PM, che oggi è un organo autonomo.

Creare due carriere distinte e due CSM, infine, comporterebbe un aumento di costi amministrativi e una complessità maggiore nella gestione dei percorsi professionali e separare le carriere potrebbe portare a divergenze nella visione complessiva del diritto, creando attriti tra giudici e PM su come interpretare norme o procedimenti.

La riforma della separazione delle carriere è un tema di lunga data in Italia, ma realizzarla richiede ampie maggioranze parlamentari per le modifiche costituzionali. 

Attualmente, il dibattito è acceso, ma non è ancora chiaro se ci sarà un consenso politico sufficiente per portare avanti un cambiamento così significativo.