– L’Editoriale – 

Lunedi 31 Marzo scoppia e si diffonde come una deflagrazione inaspettata e improvvisa la notizia della sentenza di 1° Grado emessa del Tribunale di Parigi contro Marine Le Pen, per appropriazione indebita di fondi pubblici del Parlamento Europeo. Quattro anni di reclusione (due anni sospesi perché incensurata, più due anni tra domiciliari, braccialetto elettronico e servizi sociali) comminati alla leaders della destra francese del Rassemblement National per una storia del 2004 di utilizzo di fondi destinati a giovani assunti quali collaboratori parlamentari presso il Parlamento Europeo dal gruppo politico della Le Pen e poi destinati “impropriamente” (secondo la motivazione della sentenza della Giudice Benedicte De Perthuis) a lavorare in Francia quali collaboratori parlamentari certamente, ma nelle sedi del partito parigino della Le Pen.

Si tratta di una sentenza pur sempre di primo grado, facilmente ribaltabile in Appello perché troppo sottile il distinguo tra lavoro politico svolto in Patria e quello svolto presso il Parlamento Europeo. Potrebbe essere non difficilmente provata la necessità di svolgere questa attività politica dei collaboratori assunti a supporto dei parlamentari europei del Gruppo politico della Destra francese, anche presso il cosiddetto “collegio” di riferimento del Parlamentare che, in questo caso, coinciderebbe con il territorio francese. Tant’è che è proprio in Francia che questi parlamentari vengono eletti e, come tutti i Parlamentari Europei e non soltanto, utilizzano i cosiddetti “portaborse” anche presso le loro segreterie nei territori che costituiscono il proprio collegio elettorale. E questo vale anche per i Parlamentari Nazionali (come anche in Italia) ove i due collaboratori normalmente previsti vengono impiegati presso il Parlamento e/o  le Segreterie politiche nelle città di residenza del Parlamentare o il collegio elettorale di riferimento del parlamentare.

 Qualunque sia il luogo di lavoro, a nostro avviso, quel che va valutato è la qualità e la natura della prestazione che non può essere diversa dall’assistenza tecnica, giuridica e politica al Parlamentare che ha assunto il collaboratore. Ma questo può costituire un primo elemento lapalissiano e fin troppo evidente di contestazione alle motivazioni della sentenza di primo grado che gli avvocati della Le Pen sapranno imbastire e sollevare adeguatamente al momento opportuno in sede di Processo di Appello.

 A noi interessa sottolineare piuttosto la parte di “sentenza aggiuntiva” comminata dal Tribunale di Parigi alla Marine Le Pen. Cioè a dire quei 5 anni di ineleggibilità con effetto immediato che impedirebbero alla politica francese di candidarsi alle prossime elezioni Presidenziali in programma nel 2027. Oltre ad aver già fatto decadere la Presidentessa del Rassemblement National dalla carica di Consigliere Regionale della Circoscrizione Alta Francia/Passo di Calais. E questo ci sembra, senza ombra di dubbio, particolarmente grave e fuori da ogni logica democratica e istituzionale trovandoci di fronte ad una sentenza di primo grado per reati francamente discutibili e facilmente contestabili per la natura specifica del presunto reato e relativa gravità delle contestazioni. Qualora confermate le accuse della Magistratura francese nei successivi gradi di giudizio, questa ineleggibilità sarebbe stata giustamente applicata dal Tribunale e avrebbe probabilmente determinato la fine della politica attiva della Marine Le Pen. Ma in altro momento. Con sentenza andata in giudicato. Non Prima. O se volete, non “confezionata” e collegata alla sentenza di primo grado. Così ci sembra un accanimento gratuito e sospetto.

Qualcuno potrebbe obiettare che la Magistratura francese ha un ruolo cruciale nel garantire la legalità e la Costituzionalità delle Elezioni Presidenziali. E che pertanto la Repubblica, per il tramite della Magistratura, deve garantire la libertà di associazione e di espressione. Ma stabilisce altresì che va protetta l’integrità territoriale e la Sovranità della Francia. Pertanto, se un soggetto é coinvolto in attività che minacciano la sicurezza Nazionale o la Sovranità Francese POTREBBE essere legittimo limitare la libertà di questa persona e impedirgli di candidarsi.  Tuttavia, ogni decisione dovrebbe esser presa con estrema cautela e dopo rigorosa valutazione giuridica. La Magistratura francese dovrebbe, a nostro avviso, garantire che qualunque limitazione alla libertà di Marine Le Pen sia proporzionata e necessaria per proteggere gli interessi della Repubblica. E questo già ci sembra uno strabiliante paradosso: ce la vedete voi la Marine Le Pen, nonostante il suo carattere duro e determinato, costituire una minaccia per la sovranità della Repubblica Francese? 

Ma per cortesia…… 

Senza trascurare che la decisione di impedire alla Le Pen di candidarsi, sembrerebbe ascrivibile solo e soltanto al Consiglio Costituzionale francese (l’equivalente della nostra Corte Costituzionale)  che è l’unico Organo Giurisdizionale francese in grado di esercitare il controllo di legittimità costituzionale su tale spinosa questione. E questa la dice lunga sulla decisione quantomeno irrituale e certamente temeraria assunta dalla sentenza del tribunale parigino.

Nel frattempo la questione resta aperta. In Francia l’elettorato è disorientato. Si susseguono le manifestazioni a favore o contro la Le Pen e soprattutto contro la Magistratura cui almeno il 60% dell’elettorato francese attribuisce la responsabilità di una decisione assunta con troppa faciloneria e animo partigiano. Con l’unico intendimento non dichiarato di eliminare la Le Pen dal contesto istituzionale e costituzionale, impedendo di fatto la sua libera scelta di candidarsi alle prossime elezioni Presidenziali francesi. Tutto questo mentre i sondaggisti più autorevoli di Francia come Federic Dabi dell’Istituto IFOP  sostiene che : “Questo episodio increscioso non potrà non avere effetti molto significativi sull’elettorato francese.” E ancora:  “ Marine Le Pen è attualmente in grado di vincere agevolmente il primo turno delle Presidenziali superando abbondantemente il 36% dei consensi, nonostante le sue disavventure giudiziarie”.