Come mai una Comunità che è stata maltrattata per anni da un Paese rivelatosi ostile, che ha impostato un progetto di sviluppo che si realizza con le migrazioni di oltre 100.000 tra giovani e adulti ogni anno verso il Nord, verso l’Europa e anche verso i Paesi d’oltremare, non si ribella? Visto che ha a disposizione la possibilità di votare periodicamente e manifestare il suo dissenzo e la sua ribellione.
E’ l’interrogativo che pone Pietro Massimo Busetta nel suo libro “La rana bollita. Perché il Sud non si ribella”, pubblicato da Rubbettino editore, domandando altrettanto: come mai la mancanza di infrastrutturazione, che prevede che la stessa distanza possa essere percorsa in ferrovia in una parte d’Italia in un’ora e in un’altra in tre, non fa scattare reazioni? E perché subisce una sanità che costringe quelli che se lo possono consentire, nei casi più delicati, a prendere un aereo per poter avere un servizio di eccellenza e gli altri spesso a subire trattamenti inadeguati? Così un processo formativo mancante di asili nido, di lotta alla dispersione scolastica, di tempo pieno, non fa reagire pesantemente? E infine – rileva Busetta – l’ultimo schiaffo in pieno viso, quell’autonomia differenziata le cui conseguenze saranno devastanti, oltre al rosario dei diritti di cittadinanza negati, che potrebbe continuare senza soluzione di continuità tanto da far dire ad alcuni che questa parte del Paese è utilizzata come se fosse una colonia.
Su questo tema l’autore si intrattiene con l’obiettivo di capire le dinamiche, svegliare le coscienze ed evitare che la conclusione di tali differenze di sviluppo e le ingiustizie subite portino a una rabbia diffusa che sfoci in una richiesta di separazione, già molto sentita da una parte non marginale della popolazione’, riconducendo la mancata reazione, probabilmente, all’abitudine a vivere, in una realtà degradata che progressivamente ha portato a non reagire, mentre l’individualismo, tipico delle realtà meno sviluppate, ha portato a cercare soluzioni personali piuttosto che ad azioni di ribellioni collettive, mediante l’indirizzamento del consenso o anche con mai augurabili azioni violente. Per questo il titolo di questo nuovo saggio: La rana bollita, edizioni Rubbettino.
Il principio della rana bollita è un principio metaforico raccontato – ricorda Busetta – dal filosofo e anarchico statunitense Noam Chomsky per descrivere una pessima capacità dell’essere umano moderno: ovvero la capacità di adattarsi a situazioni spiacevoli e deleterie senza reagire, se non quando ormai è troppo tardi.
Nel dettaglio questo principio narra, rileva l’autore: «Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita.
Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° C avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone».
La storia ci dimostra – evidenzia Busetta – che quando un cambiamento si effettua in maniera sufficientemente lenta, da diventare pertanto invisibile, sfugge alla coscienza e non suscita, per la maggior parte dell’umanità, nessuna reazione, nessuna opposizione, nessuna rivolta. Mentre le collettività aspettano sempre, come nella tragedia greca, il deus ex macchina che risolva dall’alto tutte le situazioni, convinte che nel frattempo possono tranquillamente lasciarsi avvolgere dal confort della vita quotidiana. Un po’ come la rana apprezzava il momento in cui l’acqua si riscaldava pian piano. In realtà la paura di intraprendere dovuta agli insuccessi diffusi di chi ci ha provato, la presenza di criminalità organizzata che consiglia molti a non impegnarsi in nessun modo, l’atavica condizione di una società segmentata nella quale la condizione prevalente era quella di essere al servizio di qualcuno, nella condizione che qualunque cosa dicesse poteva rivoltarglisi contro, rende a una visione superficiale il popolo meridionale pronto a essere vessato.” Con questo nuovo lavoro Busetta completa una ricerca che parte nel 2018.
E che si compone di quattro saggi. Questo è il quarto di una quadrilogia dedicata al Mezzogiorno. Nei tre volumi precedenti esplora alcune tematiche con una chiave di lettura personale, sperando stimolante, su alcuni argomenti, ancora di strettissima attualità, riguardanti il Sud. Il primo lavoro è stato “Il coccodrillo si è affogato”, pubblicato da Rubbettino nel 2018.
In esso si metteva in evidenza come l’esigenza dello sviluppo del Sud non fosse interesse soltanto dei 20 milioni di meridionali, ma una necessità per tutto il Paese. Perché non era pensabile avere dei tassi di crescita consistenti se si lasciava il 33% della popolazione e il 40% del territorio fuori dai processi di sviluppo che attraversano tutta l’Europa.
Il secondo lavoro della trilogia, pubblicato nel 2021, sempre dallo stesso Editore, dal titolo “Il lupo e l’agnello”, rifletteva sull’idea che la colpa del mancato sviluppo del Sud fosse da attribuire allo stesso Sud che, nella vulgata, era stato dissipatore di risorse che i meridionali avevano sprecato con ruberie, sottrazioni, sprechi e incapacità varie.La metafora della fiaba mette in evidenza come la vulgata fosse praticamente falsa e la dimostrazione più evidente il fatto che l’infrastrutturazione, che evidentemente dipendeva dallo Stato centrale, fosse rimasta al palo. Si parla dell’alta velocità ferroviaria oltre che dell’Autostrada del Sole, che già nella sua concezione si ferma a Napoli, lasciando tutto il Mezzogiorno isolato con la pretesa poi che si sviluppasse. Con il lavoro più recente, “La rana e lo scorpione”, Rubbettino 2023, Busetta cerca la motivazione per la quale non è stata adottata anche dal nostro Paese una politica economica più lungimirante, che hanno invece impostato molti Paesi dell’Unione, come in particolare lo ha fatto la Germania e anche la stessa Spagna, tra i Paesi più grandi, ma in realtà tutti quelli che hanno problemi di aree estese a sviluppo ritardato.
La risposta è stata che in realtà un Nord, alcune volte provinciale e bulimico, governato da forze spesso localistiche e miopi, lontane dalle visioni di De Gasperi o di Pasquale Saraceno, abbia imposto politiche molto egoiste.
Viene indicato come emblematico esempio cosa ha fatto la Lombardia e lo stesso Veneto, ma non sono state da meno Emilia-Romagna e Toscana, che hanno portato a una distribuzione delle risorse basata sulla spesa storica, che ha sottratto ogni anno al Mezzogiorno oltre 6o miliardi.
Nell’ultimo lavoro si faceva anche una riflessione importante e cioè che la problematica non fosse tecnica, che il tema non fosse più quello di trovare come si potesse sviluppare il manifatturiero, il turismo, e la logistica. Ma forse quello di trovare le forze che fossero in grado di imporre al governo nazionale di andare avanti senza quegli stop and go che hanno portato il Mezzogiorno a essere tradizionalmente una realtà statica che, negli ultimi vent’anni, ha aumentato di poche unità i propri addetti, compresi i sommersi.
Busetta pone come riferimento i dati dell’occupazione complessiva per capire quale dramma abbia vissuto questa parte del Paese, nella quale lavora una persona su quattro, che ha bisogno di milioni di posti di lavoro nuovi, e che invece al massimo per qualche mese è stata destinataria di risorse assistenziali come il reddito di cittadinanza.
Ma il progetto politico che portasse ad avere voce – indica Busetta – è stato interpretato in tanti modi e disperso in 1000 rivoli, per cui non è riuscito a formare una forza parlamentare adeguata a imporre al Paese una linea che non fosse frammentaria e discontinua.