Il Def, il Documento di economia e finanza, viene presentato alle Camere dal Ministro del ramo ad aprile. La Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, viene invece presentata in autunno, prima del varo della manovra di fine anno.
Di questo passo, alla luce di quanto è accaduto nell’ultima occasione, c’è da chiedersi a cosa servono questi adempimenti.
Pochi giorni fa la revisione dei conti effettuata dall’Istat, l’Istituto di statistica, ha infatti stabilito che il deficit nel 2023 nel Bel Paese è stato pari al 7,2% del Pil, quasi due punti in più di quanto prospettato dalla Nadef (5,3%). A sua volta, la Nadef aveva rivisto al rialzo la precedente previsione del Def, che illusoriamente fissava il deficit al 4,2%.
Alla fine, le stime Def sono state inferiori di 60 miliardi alla realtà dei fatti. Il tutto causato dalla voragine superbonus 110%, una sciagura che ha sottratto risorse allo Stato che potevano essere impiegate per riforme e interventi diretti a ridurre il divario infrastrutturale del Mezzogiorno.
L’incapacità di stimare gli effetti del provvedimento da parte della Ragioneria dello Stato è sconcertante, al di là delle effettive colpe di chi la sovraintende. Qui si tratta di capire se possiamo avere organismi in grado di avvicinarsi quanto meno alla realtà, quando elaborano cifre e definiscono valori previsionali. Non è possibile che un provvedimento, per quanto abnorme, come il superbonus, possa mettere a soqquadro non solo i conti pubblici, ma perfino le metodologie di calcolo.