Chi dice che il Sud arranca sempre sul fronte dell’innovazione? Basta leggere i dati sull’agricoltura biologica per capire che non è così. L’Unione Europea da tempo ha indicato nelle coltivazioni finalizzate a produrre alimenti con sostanze e processi naturali la strada giusta per salvaguardare la biodiversità. È stato fissato anche un traguardo: entro il 2030 ogni Stato membro dovrà avere raggiunto una incidenza del 25% di superfici coltivate con metodologia bio. L’Italia non se la passa male, visto che siamo ancora al 2024. Con il 18,7% è nettamente più avanti rispetto alla media Ue a 27, attestata ancora a un preoccupante 9,6%. Il Mezzogiorno, tuttavia, è molto più avanti, tanto da aver quasi centrato l’obiettivo: 23,8%. Ci sono regioni, come la Calabria, che fanno registrare un 35,7%, o come la Sicilia e la Basilicata (rispettivamente: 28,8 e 25,8%), che pure hanno superato con sei anni di anticipo il limite Ue. Anche la Campania, pur distante dalle regioni top, supera la media nazionale con il suo 19,7%. D’altra parte, se invece che parametrarsi sulle superfici, si prende in esame l’incidenza delle aziende bio sul totale, con il suo 8,4% la Campania nella graduatoria nazionale è quarta, preceduta soltanto da Calabria (10,5%), Sicilia e Basilicata (entrambe al 9,2%). La media italiana si ferma al 7,3%.

Il primato meridionale promette di fruttificare soprattutto in futuro, quando si presume dovrebbe aumentare la consapevolezza dei consumatori italiani dell’importanza, per la salute propria e per l’ambiente, di un’alimentazione bio. Sotto questo profilo, infatti, la spesa italiana pro capite non supera i 62 euro annui, ben lontana dai 437 della Svizzera e dai 365 della Danimarca. 

Già attualmente, peraltro, a un fatturato interno che raggiunge i 5,4 miliardi, si aggiungono apprezzabili introiti originati dal mercato estero, per circa 3,6 miliardi. Vi sono anche qui spazi per una crescita rilevante, soprattutto se dovesse essere varata l’attesa normativa sulla tutela dei marchi destinati a valorizzare la provenienza dei prodotti. Attualmente è possibile capire solo se sono realizzati all’interno o fuori dell’Unione Europea. La genericità delle indicazioni, insieme alla non ancora adeguatamente diffusa cultura alimentare dei consumatori, favorisce la concorrenza di prodotti a basso costo realizzati in altre aree del mondo.

Ma il futuro è bio e, in particolare, è di un bio che guarda decisamente in direzione Mezzogiorno.