In più di centosessant’anni di Unità d’Italia la discriminazione territoriale più evidente subita dal Mezzogiorno risulta quella delle infrastrutture. Sono state realizzate più nel Centro-Nord che nel Sud, a tutto svantaggio delle popolazioni e di chi ha intrapreso attività produttive. C’è per la verità un’altra grave penalizzazione, ma questa risale allo scempio compiuto dopo l’annessione del Regno delle due Sicilie, quando si concentrò l’industria al Nord, smantellando impianti che davano lavoro anche a più di un migliaio di persone, come quello siderurgico calabrese della Mongiana.
Grazie ai soldi dell’Europa, il Pnrr può ridurre finalmente il distacco, ma bisogna che il Piano funzioni. In tal senso, sono preoccupanti i numeri del testo finale della quarta relazione semestrale approvata dalla Cabina di regia con Regioni ed enti locali. Per gli investimenti pubblici, la spesa reale a fine 2023 non supera i 18,9 miliardi. Considerando che, secondo le stime della Corte dei Conti, l’importo complessivo da spendere in opere pubbliche è pari a più di 168 miliardi, ne consegue che, a tre anni scarsi dalla deadline prevista per la realizzazione degli interventi, è stato utilizzato l’11% di quanto disponibile.
La corsa per mettere a terra il restante 89% interessa soprattutto il Mezzogiorno, macroarea verso cui si indirizza più della metà dell’ammontare riservato alle infrastrutture, proprio perché gli indicatori economici di partenza evidenziano il suo pesante ritardo nei confronti del resto della nazione. Un divario che non nasce dal nulla, ma da scelte inique e scellerate fatte anche nei decenni scorsi, quando ad esempio si decise di realizzare l’alta velocità ferroviaria nel Centro-Nord, fermandola a Napoli per quanto riguardava il Sud.
L’auspicio è che il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro per il Sud Raffaele Fitto affrontino con estrema determinazione la sfida di garantire al Sud quello che gli spetta, in quanto parte d’Italia con parità di diritti, trascurati colpevolmente fin dalla sua costituzione da un’Italia nordcentrica.
Le attuali previsioni dei tecnici di Bruxelles sull’impatto del Pnrr sul pil italiano stimano un plus di crescita a fine 2026 di appena due punti e mezzo, contro i 4,5 della Grecia, i 3,3 della Spagna, i 3,2 del Portogallo. Se si accelera la spesa per il Sud, aumenta la possibilità che l’incremento del Pil superi le stime europee. Ma bisogna cambiare un andazzo che, se si procede con i ritmi attuali, rischia di vanificare un’altra grande opportunità di riscatto per il Sud e per l’intera Italia.