La super prolifica Cgia di Mestre lancia un nuovo studio e un nuovo allarme: al Sud ci sono un numero di pensioni superiori a 7 milioni, mentre i lavoratori non superano i 6 milioni e passa. Per gli esperti veneti, alla fine, la preoccupazione è: chi paga? Ed è un quesito logico e di buonsenso, purché la diamina si allarghi. In primo luogo, il costo medio delle pensioni al Sud è nettamente inferiore a quello del Nord. Va inoltre considerato che a causare questi squilibri contribuisce in maniera marcata un fenomeno, il decremento delle nascite, che riguarda tutto il Paese e non solo il Mezzogiorno. Vi è infine da considerare che ad aggravare il bilancio meridionale sta il fatto che molti giovani, formati a spese delle famiglie e del sistema didattico complessivo del Meridione, sono costretti a cercare lavoro al Nord oppure all’estero. Insomma, se si vuole porre argine al problema, due sono le strade maestre: incentivare le nascite, come pare abbia sempre più l’intenzione di fare il Governo Meloni; puntare sul Mezzogiorno come area di insediamento di nuove attività produttive che creino lavoro ufficiale (e non sommerso) e, così facendo, riequilibrino una situazione che, altrimenti, per le pubbliche finanze rischia di farsi alla lunga ingestibile. Se parleremo meno di autonomia differenziate e ci impegneremo tutti, da Nord a Sud, per superare i divari territoriali a danno del Mezzogiorno, usciremo dall’impasse e costruiremo le fondamenta di una grande stagione di crescita dell’intero Paese.