L’export italiano verso gli Stati Uniti negli anni post Covid ha accelerato, fino a far ritenere non velleitario puntare a raggiungere la soglia dei 70 miliardi di euro. La quota nazionale sul totale delle esportazioni verso gli Usa è stata nel 2023 pari a circa 2,35 punti percentuali, inferiore in Europa alla sola Germania (5,15%). Se Trump manterrà l’impegno preso verso i suoi elettori, peraltro, ci sarà una inversione di tendenza. Saranno introdotti dazi consistenti che freneranno le vendite all’estero di tutta una serie di prodotti, ad eccezione probabilmente di quelli più qualificati, di cui sarebbe dannoso privarsi per l’economia statunitense. La prospettiva, quindi, è che si riduca anche il saldo commerciale positivo italiano verso gli States. Vedremo, alla prova dei fatti, se questa evoluzione (o involuzione) si concretizzerà. Pare improbabile, tuttavia, che le cose restino come prima e, all’inevitabile disagio per alcuni comparti produttivi anche del Sud Italia (pensiamo all’agroalimentare) originato dalla nuova politica protezionistica americana, bisognerà sommare, in termini di conti pubblici, l’incremento per le spese di difesa europea causato dall’annunciato, almeno parziale, disimpegno Usa. Il rieletto Presidente Usa ha chiaramente lasciato intendere che, se gli Stati europei non destineranno almeno il 2% del loro pil a questa incombenza, l’America ridurrà drasticamente i finanziamenti militari sul fronte storicamente alleato. Per l’Europa, per l’Italia, si pongono nuove sfide, spinte anche dalla necessità di fronteggiare la svolta trumpiana. Il nostro Governo dovrà puntare sia a sostenere la proiezione delle imprese su mercati internazionali alternativi, in modo da recuperare le quote perdute su quello americano, sia a rilanciare produttività e consumi interni. Una delle anomalie italiane, che tuttavia nasconde anche una enorme opportunità, è data dal tasso di occupazione medio molto basso, intorno al 60%, che nasce essenzialmente dal mortificante 47% e poco più del Sud. Se l’Italia vuole superare indenne protezionismo Usa e maggiori spese per la difesa ha una strada spalancata davanti a sé: attrarre nuovi insediamenti e investimenti produttivi nel Mezzogiorno, creare centinaia e centinaia di migliaia di posti di lavoro, aumentando in quell’area occupati, reddito e prodotto interno lordo pro capite. In tal modo crescerà sensibilmente anche il pil nazionale, con benefici anche per le imprese del Nord, che profittando della Zes unica e di altri vantaggi localizzativi, decideranno di avviare nuove iniziative nel Meridione.