L’Italia nell’Unione Europea è il terzo Paese per dimensione dell’Economia del mare, sia per valore aggiunto che per occupati. Con i suoi 24,8 miliardi di euro, costituisce il 13,3% del valore aggiunto complessivo Ue, seconda solo a Germania e Spagna. Quanto agli addetti, sono più di 540 mila (12% Ue), anche qui in numero inferiore soltanto a quelli di Germania e Spagna. Lo ha evidenziato un rapporto di The European House Ambrosetti, diffuso a metà settembre. Consapevole del valore del settore, il Governo ha approvato attraverso un apposito Comitato, il Cipom, un Piano del Mare. Si tratta di uno strumento con un arco temporale proiettato per il prossimo triennio, che contiene gli indirizzi strategici in materia, tra l’altro, di tutela e valorizzazione sotto il profilo ecologico-ambientale, turismo, pesca, risorse energetiche provenienti dal mare. Come è noto, a cominciare dalle imprese armatoriali, il Mezzogiorno ha tante carte da giocare in questo comparto ed è bene che sia il Governo, sia le Istituzioni territoriali meridionali abbiano il dovuto riguardo alle grandi potenzialità del Sud. L’economia del mare è uno dei settori il cui ulteriore sviluppo può contribuire a ridurre i divari territoriali e ad accrescere il Pil del Paese. Non capire che questa possibilità passa per un ruolo di primo piano del Mezzogiorno vorrebbe dire sprecare un grande chance per rilanciare produttività e competitività del sistema Italia su scala europea e mondiale.