A pagina 19 del Country Report Italia 2023 dell’Unione Europea diffuso a fine maggio, riferendosi al progetto Calderoli per l’autonomia differenziata, c’è scritto testualmente: “Nel complesso, la riforma prevista dalla nuova legge quadro rischia di compromettere la capacità delle amministrazioni pubbliche di gestire la spesa pubblica, con un conseguente possibile impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche dell’Italia e sulle disparità regionali”. Una solenne bocciatura, insomma. Malgrado l’importanza della fonte (stiamo parlando della Relazione annuale che la Commissione europea redige per ogni Paese), l’episodio non ha suscitato un ampio dibattito nella stampa nazionale. Tra le repliche più colorite, si segnala quella del segretario provinciale della Lega, Poalo Borchia: nessuna ‘manina’ osi rallentare il percorso di questa riforma legittimata dalla volontà di migliaia di cittadini”. Peccato che quell’esercizio di democrazia, svoltosi a fine decennio scorso, abbia riguardato solo gli abitanti delle Regioni che reclamano l’autonomia differenziata, mentre gli effetti della svolta proposta riguardano l’intero Paese. Ma la folcloristica battuta del politico leghista, alla luce delle prese di posizione che si susseguono sull’argomento, andrebbe quanto meno aggiornata. Non di manina si tratta, ma di un numero indefinito di manine, tutte volte a scombussolare i piani di Zaia, di Fontana e degli altri fautori integerrimi del verbo nordista. Si tratta anche qui di strutture tecniche, come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, come la stessa Banca d’Italia. Si tratta di illustri costituzionalisti e di economisti, ben al di là della Svimez, organismo naturalmente impegnato a valutare le questioni dalla sponda Sud (ma non per questo composto da analfabeti incapaci di interpretare gli effetti di una riforma!). Se poi si scende dalle enunciazioni generali alle condizioni poste per poter approvare una riforma che estenda dei poteri alle Regioni, si vede come anche Confindustria di fatto sia contraria all’impianto attuale, ritenendolo pregiudizievole sia per la tenuta sociale (Bonomi ha esplicitamente parlato di rischio di spaccare il Paese) sia per l’agibilità delle imprese, costrette a confrontarsi con regole diverse a ogni cambio di regione, quando invece la competizione moderna si attua su scenari globali e la sburocratizzazione, nonché l’omologazione delle normative, costituiscono fattori competitivi. C’è infine la perdurante pretesa di regionalizzare competenze che, se mai, andrebbero gestite non solo a livello nazionale ma europeo, come la politica energetica. Tante manine, dunque, che si oppongono a un disegno che può trovare legittimazione solo se approvato dalla maggioranza di tutti gli italiani.