Nei giorni scorsi abbiamo evidenziato, su queste colonne, tutte le contraddizioni e le opacità della vicenda del Capo della Polizia libico in “missione turistico sportiva” in ben 4 paesi Europei. Un soggiorno lungo due settimane tra Londra e Bruxelles, Bonn e Monaco di Baviera, per terminare il viaggio dorato proprio in Italia. Ma in questi piacevoli giorni di vacanza, trascorsi tra ristoranti alla moda e tribune Vip di taluni stadi di Società di calcio tra le più famose del “Vecchio Continente”, il buon Generale ALMASRI veniva “accompagnato”, forse inconsapevolmente, dalle forze dell’Ordine e dai Servizi Segreti di mezza Europa che ne spiavano ogni movimento e ne segnalavano ogni spostamento o incontro effettuato. Compresi due “fermi” di polizia, il primo in Germania e poi a Torino per controllo di documenti, dei bagagli e quant’altro necessario, senza per altro contestare alcun che di anomalo al Generale e ai suoi accompagnatori, tutti provvisti di passaporti a loro intestati della Repubblica di Dominica o le carte d’identità e patente rilasciate dalla Turchia. E già con questi elementi ci sembra quanto meno singolare che i “nostri” turisti extraeuropei non siano stati fermati più lungamente per i necessari accertamenti. In nessun paese di transito.

Era dunque molto chiaro, sin dall’inizio, che la presenza di Almasri fosse ben nota a tutte le Cancellerie europee che monitoravano costantemente gli spostamenti del libico con l’unica preoccupazione di favorire l’uscita dell’ingombrante turista nei tempi più rapidi possibile dai paesi attraversati. (Inghilterra, Belgio e Germania). Soprattutto perché risultava ormai chiaro che la Corte Penale Internazionale avesse già posto la sua attenzione sui misfatti in terra libica compiuti ripetutamente da Almasri sui detenuti di un istituto carcerario alle porte di Tripoli e che la stessa Corte Penale stesse predisponendo un mandato di arresto internazionale per l’aguzzino libico con passaporto Caraibico.  Mandato di arresto redatto e poi modificato, contestato da un giudice della Corte stessa e poi “finalmente” trasmesso quando Almasri aveva già varcato il confine italiano dirigendosi sul capoluogo Piemontese. Questo il primo punto oscuro della vicenda che, a volerla dire proprio tutta, appare proprio come una iniziativa posta in essere ad hoc contro il Governo italiano per i tempi biblici con cui tutti gli attori della vicenda hanno “giocato,” per attendere che il poliziotto libico rientrasse nella Giurisdizione italiana e che fosse gestita dal nostro Paese la scottante questione internazionale dell’arresto di Asmari.  Mandato di arresto internazionale che altri paesi europei avevano prima di noi e in maniera evidente scansato con furbizia e maggiore maestria.

Ma è proprio questa gestione contraddittoria e singolare della vicenda, oltremodo discutibile in tutte le sue sfaccettature, che, a nostro avviso, dovrebbe mettere nelle condizioni proprio la Corte Penale Internazionale dell’Aja di chiarire tutti i dettagli della controversia alle Autorità di Governo italiane e non il contrario!

Per quanto attiene alla decisione della Corte di Appello di Roma di annullare l’arresto di Almasri per irregolarità e irritualità del provvedimento giudiziario, va detto che numerosi osservatori politici, nonché giuristi di chiara fama hanno posto ancora altri interrogativi degni di approfondimento. Nello specifico si obietta che l’arresto del libico effettuato dalla Digos di Torino fosse assolutamente legittimo. Essendo scaturito da un provvedimento emesso da un Tribunale Internazionale riconosciuto dal nostro Paese con trattati ad hoc.  Se questa fosse riconosciuta la tesi giuridica più accreditata, risulterebbe oltremodo illegittima “l’intrusione a gamba tesa” della Corte di Appello di Roma che ha decretato la liberazione di Almasri, presumibilmente senza averne competenza.  Nonostante il solo possesso di documenti di identità personale rilasciate da paesi diversi dalla Libia (Turchia, Repubblica di Dominica, isola Caraibica e autentico paradiso fiscale facente parte del Commonwealth britannico) avrebbe consigliato un approfondimento giudiziario e un trattamento diverso dal rilascio repentino. 

Non sfugge a nessuno che questa tesi, sempre più accreditata con il passare del tempo, ponga ulteriori interrogativi sull’atteggiamento e le iniziative di quella Corte d’Appello Capitolina che volontariamente o forse involontariamente (e in questo caso per mera incompetenza) ha contribuito alla confusione istituzionale prodotta nella vicenda della liberazione di Almasri. Ed anche questo ci sembra un elemento da approfondire, tanto sotto l’aspetto politico, quanto sul fronte squisitamente giuridico e procedurale. 

Non ci soffermeremo su quanto accaduto subito dopo, con la notifica di una “Iscrizione al registro delle notizie di reato” (che hai voglia a dire che non si tratta di un avviso di garanzia!!) da parte del Procuratore Capo di Roma Francesco Lo Voi, per la Premier Giorgia Meloni, i Ministri Piantedosi e Nordio e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Mantovano per i reati di favoreggiamento e peculato nella vicenda della liberazione di Almasri.

Se ne è già parlato troppo e davvero poco potremmo aggiungere su una iniziativa sconcertante e assolutamente singolare nella storia della nostra Repubblica. Un provvedimento giudiziario repentino, per nulla valutato obiettivamente nelle varie implicazioni e conseguenze, procurato alla credibilità anche internazionale del nostro Paese. Una iniziativa senza precedenti tirata fuori dal cilindro del Procuratore come un prestigiatore farebbe con un piccione. Ma con una sua chiara e premeditata strategia da troppo tempo idealizzata e progressivamente “perfezionata” per via giudiziaria. A partire dal rinvio a giudizio disposto contro Salvini per la vicenda Open Arms, partorita dallo stesso Magistrato Lo Voi al tempo della sua attività quale Procuratore Capo di Palermo, seguita poi dall’altra vicenda altrettanto angosciante del Magistrato Marco Paternello, Giudice di Cassazione, che inviava a tutti i Magistrati italiani una mail che metteva in guardia dai “pericoli” per la Sua categoria costituiti dalla Premier Meloni, affermando: “indubbiamente l’attacco alla giurisdizione non è stato mai così forte, forse neanche ai tempi di Berlusconi. In ogni caso oggi è un attacco molto più pericoloso e insidioso per molte ragioni. Innanzitutto, perché la Meloni non ha inchieste giudiziarie a suo carico e quindi non si muove per interessi personali ma per visioni politiche e questo la rende più forte. E rende molto più pericolosa la sua azione, avendo come obiettivo la riscrittura dell’intera Giurisdizione e non semplicemente un salvacondotto”. E poi continua Paternello: “In secondo luogo perché la Magistratura è molto più divisa e debole rispetto ad allora (ai tempi di Berlusconi). E isolata nella società. A questo dobbiamo assolutamente porre rimedio. Possiamo e dobbiamo farlo. Quanto meno dobbiamo provarci……. E poi altre elucubrazioni mentali frutto di una partigianeria delirante. A questo esempio di “civiltà giuridica e di indipendenza della magistratura” vanno aggiunte le ripetute bocciature dei provvedimenti di trattenimento in Albania dei migranti trasferiti dal Governo italiano con navi militari nel CPR di Schenngjin (Centri di Identificazione e rimpatri). Provvedimenti di bocciatura che hanno una sola e unica paternità nelle Procure della Repubblica di mezza Italia e motivate ripetutamente dalla provenienza dei migranti da Paesi cosiddetti insicuri che ne vieterebbero il rimpatrio per timori di ripercussioni o limitazioni della libertà degli stessi migranti al loro rientro nei paesi di origine. Le argomentazioni delle Procure contestano al Governo la facoltà di redigere l’elenco dei Paesi sicuri, rimandando questa scelta alla Corte di Giustizia Europea. In tal modo il nuovo CPR italiano in terra Albanese rimane inutilizzato così come rimane disatteso il programma di rimpatri dei migranti messo a punto dal governo italiano. Con evidente soddisfazione delle forze politiche di opposizione che possono attaccare violentemente il governo per il presunto fallimento dell’iniziativa. Fallimento che, al contrario, è addebitabile esclusivamente alla posizione politica assunta da una parte ben identificata dei magistrati nostrani, fautori del “tanto peggio, tanto meglio”. Allo stato occorre attendere la pronuncia della Corte Europea per scrivere l’ultima parola su questa ennesima e strumentale contrapposizione tra magistrati e governo italiano, attesa per fine mese di febbraio.