L’economia del mare è una grande risorsa per l’Italia. Il Paese si colloca al terzo posto in Europa per valore aggiunto sviluppato dalla Blue Economy, il 13.5% del totale Ue. Davanti all’Italia ci sono Spagna e Germania, ma le potenzialità di crescita sono tali da prefigurare un sostanziale miglioramento dell’attuale situazione. Il decimo rapporto sul comparto, elaborato da Unioncamere e Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne, sottolinea come questa prospettiva sia rafforzata dai recenti indirizzi dell’Unione Europea verso una transizione ecologica e digitale, dove il mare giocherà un ruolo rilevante e l’Italia potrà far valere più di quanto abbia fatto finora il suo ruolo baricentrico tra Nord e Sud del Mediterraneo. Già al momento la Blue Economy, intesa come produzione diretta e capacità di attivazione della filiera, incide sul Pil per più del 9% (51,2 miliardi di valore aggiunto prodotto più altri 84,8 miliardi di attivato). Nel Mezzogiorno, questo valore aumenta all’11,2%. Di quasi 225 mila imprese italiane dell’Economia del Mare, più di 107 mila sono meridionali. Nella Blue Economy il Sud e le Isole contano ben 12 mila imprese giovanili, l’11,2% del totale della macroregione, a fronte dell’8% del centro e del 7,4% del Nord. Ci sono le premesse perché una accentuazione del ruolo della Blue Economy, favorita dalla riconfigurazione delle politiche europee sull’asse Nord-Sud, causa le crescenti restrizioni produttive e commerciali generate dalle tensioni a est e dalla guerra in Ucraina, veda nel Mezzogiorno d’Italia un’area strategica per le nuove dinamiche di sviluppo. I punti di forza preesistenti possono determinare effettivamente una crescita della Blue Economy e del tessuto produttivo del Sud se saranno potenziati tutti i segmenti della filiera: dai trasporti marittimi, con la movimentazione merci e passeggeri, alla cantieristica, dall’ittica ai servizi di alloggio e ristorazione connessi all’economia del mare. Nel Sud tutto ciò sarà possibile se si saprà giocare di squadra, rendendo complementari ruoli e funzioni degli scali nella logica dei sistemi portuali, pianificando le strategie e investendo le risorse disponibili: dal Pnrr alla nuova programmazione 2021-2027, al Fondo di sviluppo e coesione. Occorrono progetti in grado di superare gap infrastrutturali (esempio: collegamenti intermodali lacunosi, rapporti tra porti e retroporti), potenziando la logistica, qualificando i profili professionali alla luce delle nuove esigenze poste dall’evoluzione tecnologica.