Una premessa è d’obbligo. L’andamento dell’occupazione è positivo. L’Italia per la prima volta supera il tetto dei 24 milioni di persone che lavorano. Il tasso di occupazione resta distante dalle medie europee, ma il gap si riduce: secondo i dati Istat rilevati a luglio del presente anno, si è raggiunto quota 62,3%, un punto percentuale in più rispetto ai livelli di dodici mesi prima. Stiamo parlando di quasi mezzo milione di lavoratori, di cui ben 437 mila a tempo indeterminato. Il lavoro a termine cala di 196 mila unità, per quello autonomo, invece, si riscontra un aumento di 249 mila. Fin qui tutti indicatori soddisfacenti: lavoro più stabile, incremento della voglia di mettersi in gioco oltre la sfera dell’occupazione dipendente.

Se l’andamento dovesse continuare così per molto tempo si comincerebbero a profilare i contorni di un nuovo piccolo boom economico, soprattutto se continuasse la tendenza all’aumento più marcato del lavoro meridionale e femminile. Leggendo tuttavia i dati nel dettaglio, qualche elemento che desta inquietudine affiora, e non pare di poco conto.

A luglio 2024, nel confronto con il mese precedente, l’unica fascia d’età in cui l’occupazione è diminuita, anziché aumentare, è quella dei giovani da 24 a 35 anni: -0,6%. Se, inoltre, torniamo al raffronto citato in precedenza, quello tra luglio 2023 e luglio 2024, registriamo che, di quel quasi mezzo milione di posti in più, ben 304 mila unità riguardano over 50.

Probabilmente si tratta, in parte, di rientri nel circuito lavorativo, dopo la flessione dovuta al covid, ma, eventualmente fosse così, sarebbe una chiave di lettura solo limitata e appunto parziale, visto il record assoluto di occupati cui si è fatto cenno. Ne deriva che l’occupazione italiana aumenta sì, ma in una fascia d’età che, alla luce dei profondi cambiamenti in atto negli assetti produttivi per la transizione energetica e digitale, dovrebbe essere la meno idonea, per motivi anagrafici e culturali, a governare l’innovazione.

Il fenomeno della migrazione intellettuale dei giovani della Penisola induce a riflettere sulla qualità della domanda di lavoro avanzata da un considerevole numero di imprese, così come sui livelli retributivi proposti per alcuni profili professionali qualificati.

Su questo punto le Istituzioni, a cominciare dal Governo per finire agli enti territoriali, faranno bene a rafforzare le politiche di promozione dell’innovazione e della ricerca, incentivando anche le assunzioni di risorse idonee ad assicurarne un adeguato sviluppo.