Attenti a spingere sull’autonomia, non deve spaccare il Paese. Il monito di Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, è stato lanciato nel corso di un importante confronto su questo e altri temi, indetto a Venezia, e ha segnato un altro punto a favore di quanti, non solo a Sud, si schierano per un la necessità di approfondire maggiormente la questione prima di trasferire più poteri alle Regioni. Sull’argomento interviene Anna Lepre (nella foto), Direttore del Centro Studi Lepre Group.

Possiamo considerare la presa di posizione degli industriali una svolta?

Direi di sì. Confindustria non si era mai espressa in maniera così ferma sul problema. Ma direi di non limitarsi a riflettere sull’invito di Bonomi a non provocare tensioni tra le aree diverse dello Stivale, ma di centrare l’attenzione sulle altre sue affermazioni.

Ha parlato di coesione territoriale…

Appunto! E non si tratta di concetti slegati tra loro. In sostanza, Bonomi ha ribadito, dall’alto di una posizione ragguardevole come è quella di presidente della più importante associazione rappresentativa dell’imprenditoria nazionale, che la priorità oggi è superare o almeno ridurre i divari. Dei quali, quello territoriale è sicuramente il più datato, e dunque colpevolmente irrisolto. Oggi ci sono le risorse per procedere, pensiamo innanzitutto a quello. E, non a caso, Bonomi ha espresso la necessità che sia finalmente istituito e reso operativo un fondo perequativo finalizzato ad assicurare strutture e servizi occorrenti per dare concretezza a diritti di cittadinanza oggi non esercitabili pienamente nelle aree svantaggiate.

Ma non si può contestualmente agire per rafforzare i poteri regionali?

Con quali obiettivi? Se si tratta di ampliare la potestà di intervento per rendere più spedita l’azione delle Regioni su questioni specifiche di una realtà locale, non vedo quale sia il problema. La polemica nasce dalla pretesa di alcune Regioni di governare in piena autonomia su temi come la salute, l’istruzione, la tutela ambientale. Strategici per il presente e il futuro del Paese.

Non c’è anche la prospettiva di poter disporre di ulteriori risorse?

C’è, eccome se c’è! È a questo che, alla fine, aspirano i governatori di alcune Regioni del Nord e una parte della leadership leghista. Ora, pensiamo un attimo al problema nelle sue dimensioni nazionali. C’è uno Stato in cui gli abitanti di alcune regioni, quelle meridionali, ricevono meno in servizi e strutture. Come si fa per ridurre le distanze? Si può, certo, auspicare che lo sviluppo economico di quelle regioni, col tempo, le ponga in grado di provvedere. Ma se non intervieni dal centro, questo non si verifica, è il cane che si morde la coda.

Perché se il sistema è meno strutturato è anche meno attrattivo per gli investimenti…

Infatti. Ed è per questo che, per superare il gap, bisogna fare esattamente il contrario di quanto vorrebbero i promotori dell’autonomia. Trasferire risorse dalle aree forti a quelle deboli, e non viceversa.

Ma non c’è il rischio di altri sprechi?

I conti pubblici territoriali dimostrano che, per ogni cittadino meridionale, la spesa pubblica è largamente inferiore a quella del Nord. Le polemiche sugli sprechi perpetrati esclusivamente da istituzioni e amministrazioni meridionali non hanno fondamento statistico. È invece chiaro che, se ricevi meno, non puoi che offrire meno. Per anni i trasferimenti dallo Stato centrale sono stati effettuati sulla base della spesa storica, per cui un Comune che non ha asili nido non riceve un euro che è uno. Non c’è nessuna buona ragione per continuare con questa prassi perversa!

È ottimista?

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha più volte assicurato che una delle priorità del Governo sarà unificare il Paese, rilanciando il Mezzogiorno. Sono parole che ci confortano, se continuerà col piglio mostrato in questi primi mesi di governo, potremo nutrire fiducia che saranno seguite dai fatti.

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