<< A questa domanda, rispondo con l’autobiografia poetica che accompagna il mio secondo volume di ‘mono-luoghi della Dignità’ ovvero “Mi sfugge di volare”, edito da Chipiuneart edizioni. Mi sembra la risposta più esaustiva. “Un giorno, ancora adolescente, entrai in un piccolo teatro di Roma. Il portone era socchiuso, e io seppur timido e insicuro non riuscii a resistere a quel richiamo. Dentro, la luce del sole attraversava lo spazio con un raggio tondo come la finestra dalla quale penetrava, e granelli di polvere ‘magica’ danzavano nel cono che tagliava la penombra. Quel fascio di luce forte, ineluttabile come una lama, illuminava, impietoso, il sipario di velluto rosso che sembrava profumare l’aria… Quel giorno capii all’istante che quello sarebbe stato il senso del ‘sacro’ per me. Sì, senza neanche sapere come né perché, quel giorno sentii che mi sarei occupato di portare lo stupore dove non c’era, di stanare e di giocare con le emozioni. Quel giorno decisi di sorprendere gli spettatori con emozioni potenti, violente come le lacrime e le risate dei miei personaggi. Diceva Raffaele La Capria che la letteratura per lui è stata l’unica possibilità di comunicazione con il mondo: ecco, basta sostituire la parola ‘letteratura’ con ‘teatro’ per comprendere come io viva la mia passione. Vita, sì, il teatro è la mia vita, nel senso che solo lì mi sento a posto con me stesso, adeguato, instancabile e magico come quella scena che ho avuto stampata negli occhi per anni e che, nella sua semplicità, continua a permettermi di perlustrare la complessità di questo mondo. Da allora ho fatto tanta strada da solo, con un’urgenza che ha sempre reso necessarie le mie performance e non mi ha mai fatto tremare neanche quando non sapevo come pagare un caffè: quale fortuna più grande di sapere che stai percorrendo la tua strada, costi quel che costi? Un grande incontro all’inizio del cammino, Luca Ronconi. In lui ho riconosciuto immediatamente la possibilità di indagare senza alcun ‘pregiudizio’ il mondo delle parole e la possibilità di mettere a soqquadro la realtà, ribaltarla, rovesciarne i simboli per poi ottenere la più insperata delle risultanti: la verità. Una meravigliosa conquista, mai facile, mai a portata di mano, eppure semplice e necessaria come l’ossigeno. Leggendo il mio amato Thomas Bernhard, invece, ho compreso l’importanza dell’andare ‘nella direzione opposta’ per potersi ritrovare poi in quella propria, ‘giusta’ per sé: e così da attore sono diventato regista, consapevole di dover aggiungere al lavoro oltre all’analisi razionale anche il cuore. Ho cominciato a chiedere ai miei artisti di permettermi di entrare dentro di loro per toccargli le viscere, affinché contattassero e vomitassero tutti gli ‘umori’ indispensabili. Così da scuotere gli spettatori ‘fino in fondo’, senza la comodità del percorso già tracciato e conosciuto o l’ipocrisia del ‘va tutto bene’ finale. Il pubblico doveva partecipare ma non sostituendosi agli attori, semplicemente vivendo da vicino le emozioni, annusando e scegliendo quando e con chi andare a prendere uno schiaffo o un pugno nello stomaco (simbolici ovviamente) o una carezza o un abbraccio sincero. Oggi so che è possibile scardinare la struttura ingessata di qualsiasi testa/mondo ma senza bombe e solo dopo averne studiato perfettamente l’alfabeto e conosciuto, sul campo, pregi e difetti. Oggi credo più che mai che la vera rivoluzione sia quella della cultura. La mia unica religione resta il teatro. E non vedo l’ora di scendere nuovamente sul campo e ricominciare, come sempre, tutto da capo >>
Come descriverebbe il suo stile registico nel teatro? Cosa cerca di trasmettere attraverso le sue regie?
<< Dicono di me che ho un approccio espressionista nella messa in scena… e, in effetti, amo molto quella corrente artistica. Amo tirare fuori dai testi quel che non si vede a occhio nudo ma che a me appare evidente da subito. Amo sottolineare e amplificare le particolarità, i limiti, i difetti, così come mi diverte distorcere la realtà per renderla ancora più reale nel contrasto. Amo esasperare i contrasti, appunto, giocare con la simmetria e la compostezza delle immagini in un controllo assoluto che partorisca però all’improvviso, per forza di cose, ogni suo opposto, così da creare un corto circuito illuminante per chi crea e per chi fruisce. Ho respirato diversi metodi all’accademia d’arte drammatica e ho letto molto, amo in particolare la pittura e l’architettura, e credo di essere molto contaminato per cui, in realtà, la risultante è un punto di vista che cambia a seconda della materia che voglio modellare, con la volontà precisa di non accontentarmi finché non trovo la chiave di lettura più consona, quella in equilibrio tra forma e contenuto. Amo lasciare un segno nel cuore e nella mente degli spettatori, seminare, condividere >>
Ci sono tematiche o motivi ricorrenti nei suoi spettacoli? Se si, quali sono e perché?
<< Credo sia più facile individuare temi e motivi per chi guarda le mie opere da fuori, dall’esterno, ma sforzandomi di allontanarmi e mettere a fuoco a distanza, per conoscermi meglio, riconosco l’ingiustizia, la claustrofobia emotiva, la crudeltà, le relazioni malate, l’abbandono, l’ipocrisia, la manipolazione e l’inadeguatezza come temi ricorrenti nei miei lavori e, a pensarci, credo si aggancino alla figura paterna, nel mio caso, ma più in generale a ogni figura genitoriale che non sappia amare e che faccia soffrire chi gli vive accanto, dopo avergli dato il peggior imprinting possibile attraverso il ‘trauma’ che poi si trascinerà tutta la vita. Il mio lavoro è spesso dedicato a chi non vuole o non riesce a sollevarsi dal fango, a strappare il proprio cuore dalla morbosità dei sentimenti più bassi, in una sorta di delirio di onnipotenza infantile e nella speranza di poter cambiare qualcosa in questa mia vita: da sempre osservo e ascolto la mia famiglia, gli amici, le persone che incontro e che mi circondano e, forse per questo, da sempre ho l’urgenza di rifugiarmi in un mio mondo di gentilezza e di magia che colga gli aspetti migliori dell’essere umano, senza nascondere gli altri aspetti, appunto, affinché la catarsi sia possibile. Ho bisogno di condividere perché sento tutti i punti in comune con i miei artisti e il pubblico meraviglioso che, poi, ogni volta è il primo a stupire anche me, aderendo in modo così totale alla mia Dignità >>
Come sceglie i progetti teatrali a cui lavorare? Quali sono i criteri principali che guidano le sue scelte?
<< A volte sono i testi che mi chiamano, casualmente, se così vogliamo dire. Altre volte, mi vengono proposti come sfide e io mi diverto molto a sfidare me stesso, credo sia l’unica possibilità reale di vita. Per lo più, comunque, scelgo progetti che mi accendano una fiamma dentro e mi permettano di visualizzare altri mondi… >>
Com’è il rapporto che instaura con i suoi attori? C’è un metodo particolare che segue per dirigerli?
<< Dopo aver scelto i miei artisti mi concentro sui loro occhi per affidargli uno dei miei ‘mono-luoghi’ – come li chiamo io – e ogni volta restano profondamente sorpresi di quanto gli risuonino quelle parole: spesso, già solo a prima lettura, piangono commossi per le attinenze con la loro vita o con il momento che stanno vivendo. Il mio metodo parte dall’ azzeramento, l’annullamento di ogni ‘orpello’, per toccare l’essenza del discorso, approfondendo ogni parola, analizzandola, lucidandola e connettendola direttamente con l’interno, agganciando così testa, cuore, viscere, senza trucchi o inganni: fino in fondo. Il mio lavoro con gli attori parte dall’invito a sciogliere ogni nodo, ogni barriera, ogni resistenza, ogni pregiudizio, ogni timore acquisito, per godere del sentire prima di tutto e delle sue molteplici manifestazioni e ripercussioni. Certo, a volte come spugne “ci si può restare inzuppati” e con quel peso è difficile anche muoversi ma a quel punto, strizzando forte gli organi interni possiamo restare noi e far restare a galla gli altri, senza paura della verità che uccide e fa risorgere quando serve. Ma quanto costa vivere nella verità? Bisogna poterlo fare in un luogo sicuro, in buona compagnia: questo mio mondo, allora, io lo offro agli artisti come una casa ‘chiusa e protetta’ dove lasciarsi andare, corpo e anima, mettendosi in gioco per davvero, godendo, osando >>
Lo spettacolo-format “Dignità Autonome di Prostituzione” che ha ideato nel 2007 insieme all’attrice Betta Cianchini, ancora oggi riceve consensi e grande successo: ci svela qual è il segreto di tanto successo?
<< Qualcuno dovrebbe svelarlo a me… (sorrido). Io credo sia frutto dell’ alchemica fusione di più elementi quali il talento, la meritocrazia, il caos controllato, le emozioni come unico possibile divertimento, la magia e la volontà di stupire, giocando al teatro, il gioco più serio del mondo, che fa da specchio alla vita e non solo come modo di dire. Io mi diverto a mettere in scena tematiche e immagini che ruotano come macchinette a scontro nella mia testa e scatenano sinapsi come incidenti di percorso, producono adrenalina, esplodono in emozioni che ci ricordano perché questa vita è un ‘disastro meraviglioso’ e quanto l’arte e la bellezza possano salvarci, a maggior ragione in un paese dove gli artisti non sono sostenuti né protetti. Questo metto in scena. Questo mi consola e mi rende felice. Questo rende felici i miei artisti e il mio pubblico trasversale. Più che ‘dignitosi’, tutti noi insieme accogliamo liberi e professionali, in un abbraccio enorme, un pubblico altrettanto libero di scegliere, costretto ad attivarsi e quindi vitale, felice >>
Nel 2008 “Dignità Autonome di Prostituzione” ha ricevuto anche tanti riconoscimenti, ricordiamo il Golden Graal, riconoscimento per l’idea e per la regia, per la miglior attrice a Betta Cianchini e la Candidatura al Premio ETI – Olimpici del teatro come miglior spettacolo d’innovazione nel 2009: come si sente quando il suo lavoro teatrale viene riconosciuto con premi e riconoscimenti? Che impatto ha sulla sua carriera?
<< Pochi giorni fa ho ritirato il Premio Charlot e in quell’occasione ho detto proprio questo: si fa teatro per sublimare la faticosa e dolorosa realtà, per poter esprimersi, ovviamente, ma anche per sentirsi adeguati… e se a questo ci aggiungi il consenso e l’applauso del pubblico e, di tanto in tanto, un riconoscimento ufficiale, assegnato da persone di teatro che si riuniscono e ti scelgono, beh, non c’è gratificazione più grande, passeggera sicuramente ma fondamentale nell’incoraggiamento >>
Il teatro è sempre in continua evoluzione: Lei come immagina questa evoluzione? Ci sono tendenze che la entusiasmano particolarmente?
<< Il teatro per me è stupore, prima di tutto, ma mi stupisco poco da diverso tempo, vorrei mi succedesse più spesso. Per fortuna da qualche anno curo laboratori e masterclass di recitazione e sono in giuria in vari festival come, per esempio, “in divenire” diretto dal grande Giampiero Cicciò: in questi contesti mi succede di scoprire giovani talenti e di sorprendermi dei linguaggi ancorati alla contemporaneità (ma parlo solo di quei pochi che conoscono ancora la grammatica basilare della drammaturgia e della messa in scena), e allora sono grato delle emozioni e della speranza rinnovata >>
Quale consiglio darebbe ai giovani che vogliono intraprendere la carriera di attore e/o di regista?
<< Studiate l’a b c, sui libri ma soprattutto sul campo, lanciatevi nelle sfide senza paura di fallire, facendo tutto il vostro meglio alla perfezione ma senza lasciarvi affogare dal perfezionismo come conditio sine qua non e dalla brama del successo e dei soldi! Se nel fare teatro non vi accorgerete nemmeno di non avere abbastanza soldi per mangiare leccornie o di non riuscire a pagare le bollette tanto da utilizzare, romantici ed entusiasti, le candele per illuminare la casa, ringraziate il vostro dio: avete il fuoco sacro, farete questo nella vita e presto vivrete del vostro lavoro, e sarete i primi a far rispettare il valore di questo meraviglioso privilegio, conquistato con sacrificio e dedizione >>
Quali sono i suoi progetti futuri?
<< Oltre alla ripresa di DAdP in una short edition a Nola, nella piazza dei gigli, 5/6/7/8 settembre 2024, al momento sto lavorando allo Studio n.1 de Il conte di Montecristo che metterò in scena alle Officine San Carlo a fine ottobre e alla ripresa del mio Miseria e nobiltà (attualmente su Rai Play) per il Teatro Augusteo di Napoli. Contemporaneamente ho iniziato a lavorare anche a un progetto immenso che dovrebbe andare in porto nella primavera del 2025 e che mi riempie di gioia ma preferisco aspettare ancora un po’, è presto per parlarne >>
C’è qualcos’altro che vorrebbe condividere con noi, con il Suo pubblico e con i nostri lettori?
<< Oltre alle emozioni c’è poco da condividere, secondo me, ma vorrei fare un invito: lottiamo insieme, ognuno nel proprio piccolo mondo, affinché la nostra esistenza e quella di chi verrà dopo possa essere realmente degna della definizione di ‘umanità’. Se l’amore è il motore del mondo, la pace e l’armonia sono il carburante e l’ossigeno, indispensabili. Stop alla guerra, alla violenza e all’odio, al genocidio in ogni forma e in ogni dove >>
Ci saluta con un suo motto?
<< Teniamoci per mano, ora. Poi, si muore >>