Partiamo dal nome. Mia sta per Misura di Inclusione Attiva. Il termine inclusione evoca una forma di reddito preesistente a quello di cittadinanza. E, in effetti, vi sono due elementi che accomunano il ‘vecchio’ reddito di inclusione e Mia: l’importo erogato è inferiore a quello del reddito di cittadinanza e la platea dei destinatari del beneficio è più ridotta. Mia andrà sicuramente ai soggetti fragili, anziani e disabili, mentre non toccherà a tutti gli occupabili. La probabile nuova soglia Isee di 7200 euro annui, al di sotto della quale non si potrà percepire il sostegno, è infatti nettamente inferiore a quella precedente. La modifica taglierà fuori molti assistiti al Nord, ma anche nel Mezzogiorno gli esclusi non saranno pochi. Vi sarà inoltre una sostanziale decurtazione di poco meno di 150 euro dell’importo concesso da Mia rispetto al Rdc, una diminuzione che riguarderà essenzialmente gli occupabili, non i soggetti fragili, che dovrebbero al massimo perdere una trentina di euro. La cosa più importante, a parere di chi scrive, è comunque un’altra. Al contrario del reddito di cittadinanza, Mia è destinata a cessare, non sarà erogata all’infinito. Anzi. Se, nel corso del periodo in cui si fruisce del beneficio, il soggetto percipiente dovesse rifiutare un’offerta di lavoro congrua nei pressi della sua residenza, perderebbe il diritto al sostegno. Chi scrive ha già avuto modo di auspicare questa soluzione, ritenendo che gli occupabili, in larghissima parte dei giovani, debbano essere attori della vita lavorativa e non condurre un’esistenza da eterni assistiti, a scapito delle prospettive loro e del territorio in cui risiedono. L’auspicio, peraltro, è che il Governo Meloni riesca ad assicurare una svolta nelle politiche del lavoro, tale da consentire effettivamente, anche attraverso percorsi formativi finanziati dallo Stato, l’inserimento o il reinserimento sociale di giovani e meno giovani. Su un piano più generale, bisogna imprimere una forte accelerazione alle politiche di riequilibro territoriale, per favorire l’allargamento della base produttiva necessaria a garantire una domanda di lavoro adeguata a soddisfare le richieste dell’offerta. Non è possibile trascurare, al riguardo, il fatto che nel Sud la popolazione complessiva sia pari a circa quattro volte il numero degli occupati, a fronte di un rapporto di circa due a uno riscontrabile in regioni del Nord come l’Emilia Romagna. Al di là di qualsiasi strumento di sostegno, insomma, bisogna estendere le opportunità di lavoro.