di Gianni Lepre 

Il prezzo di un grammo d’oro in trent’anni si è più che raddoppiato, passando da 20 a oltre 50 euro. L’oro si conferma un bene rifugio, oltre che il metallo prezioso per eccellenza di gioielli e monili. Nel napoletano ha una tradizione millenaria attestata anche dai reperti pompeiani. Dal tredicesimo secolo, inoltre, il Borgo Orefici è il cuore di un artigianato di eccellenza che ancora oggi sforna creazioni d’autore. Tra laboratori ed esercizi commerciali, chi va nel Borgo alla ricerca di un prezioso trova sempre la risposta ai suoi desiderata. La ricchissima articolazione dell’offerta – al Borgo giungono anche prodotti di altri poli italiani dell’oro e del gioiello – è infatti destinata a soddisfare qualsiasi esigenza. Non solo. Nel Borgo Orefici opera una comunità unica nel suo genere, operatori fra loro spesso grandi amici, che tuttavia, come è giusto, sul lavoro sono in diretta concorrenza. Il risultato va a tutto vantaggio dell’acquirente che, oltre a trovare prodotti per ogni tasca (anche il moderno prezioso per giovani, leggero ma dall’ammiccante design), riesce a spuntare prezzi difficilmente riscontrabili in altre zone della città e in altre aree del Paese. Napoli, insomma, ha, è proprio il caso di sottolinearlo, un tesoro, non sempre valutato nelle sue potenzialità dalle istituzioni. Basti pensare al mancato raccordo col turismo. A fronte dell’invasione dei decumani, con San Gregorio Armeno ridotta al limite dell’accessibilità, mancano percorsi alternativi, che potrebbero ulteriormente valorizzare l’oreficeria partenopea, recuperando anche un’area da decenni abbandonata come quella di piazza Mercato, dopo l’esodo nolano dei commercianti del Cis. Grazie all’operosità di artigiani e commercianti, Borgo Orefici è al contrario monitorata e presidiata anche sotto il profilo della sicurezza. Non si registrano rapine da anni e anni, le botteghe sono aperte, i servizi di vigilanza sempre attivi. Non manca una scuola orafa, La Bulla, che consente a giovani vogliosi di imparare l’arte secolare coniugandola con le tecnologie innovative. Un mix che fa del prezioso, dell’arte di lavorare l’oro e altri metalli nobili, nonché le stesse pietre di pregio, un unicum. Chi esce dalla scuola orafa, in genere, non ha difficoltà a occuparsi. Bisognerebbe peraltro che le istituzioni, con politiche ad hoc, incentivassero l’apprendistato, incrementando in tal modo un’offerta di lavoro attualmente non sufficiente a soddisfare la domanda e venendo incontro ai maestri artigiani per spese di formazione altrimenti insostenibili.

8 pensiero su “L’Opinione: L’Oreficeria partenopea un tesoro da valorizzare”
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