Contrariamente a quanto farebbero pensare le cronache, l’Italia non è tra gli ultimi Paesi in Europa nel rispetto delle scadenze del Pnrr. Ha incassato finora due tranche, per un totale di 66,9 miliardi. Ha dovuto chiedere una proroga per la terza da 19 miliardi, per poter raggiungere gli obiettivi prefissati. Ma, meglio dell’Italia, ha fatto solo la Spagna, che ha già incamerato il terzo assegno. Insieme all’Italia, solo Croazia, Grecia, Portogallo e Slovacchia hanno ricevuto due tranche. Al momento ci sono grandi Paesi come la Germania che hanno avuto solo un anticipo di 2,5 miliardi, senza presentare neppure la domanda per la prima tranche. La Francia ha ottenuto, a tutt’oggi, solo la prima tranche. Che in Italia ci sia allarme, non dipende dunque da un ritardo nei confronti dei partner europei, ma da un’altra fondamentale ragione. Il nostro è l’unico Paese ad aver ricevuto, tra contributi a fondo perduto e prestiti, un assegno ‘teorico’ da 195,5 miliardi. È anche l’unico ad avere chiesto di poter disporre dell’intero ammontare dell’importo per prestiti ottenibile, vale a dire 122,6 miliardi. Insomma, la cifra assegnata in prospettiva all’Italia è enorme, costituisce molto più di un quarto del totale delle risorse stanziate (circa 724 miliardi) dal Recovery and Resilience Facility. È per questo che un possibile fallimento dell’operazione, sul piano nazionale, va assolutamente scongiurato, e che è bene raddrizzare la barca prima che naufraghi. A rendere la sfida ancora più decisiva, al di là della strategicità dell’intervento per il recupero del divario meridionale nei riguardi del resto d’Italia e d’Europa, c’è un ulteriore aspetto. Sulla capacità di spesa dimostrata per il Pnrr si gioca la possibilità per l’Italia, e in genere per i Paesi dell’area mediterranea, di richiedere nuovi interventi per debito comune, costituendo un altro fondo sovrano. È insomma l’ottica degli eurobonds, caldeggiata dall’Italia fin dall’epoca di Tremonti ministro dell’Economia, e che soltanto con la pandemia e con il Next Generation Eu ha trovato prime risposte, almeno parzialmente favorevoli, a Bruxelles. I cosiddetti Paesi frugali, tuttavia, hanno da subito ripreso le posizioni rigoriste, osteggiando evoluzioni di un meccanismo di solidarietà che dovrebbe nel tempo avvicinare le economie degli Stati, creando le premesse per una maggiore unificazione. Il destino dell’Italia e del suo Mezzogiorno, anche in questo senso, è legato a quello della costruzione europea, da anni a rischio come mostrano vicende tipo Brexit.