Crescono i premi di produttività. Secondo una elaborazione del Caf Acli su un milione centomila modelli 730/2024, i dipendenti premiati sono passati dal 7,2 al 9,4% dei contribuenti. Si eleva anche l’importo medio del premio, che da 1167 balza a 1362 euro, con un guadagno di 194 euro per lavoratore.  Il motivo per il quale di è determinato questo piccolo boom è presto detto: la riduzione dell’imposta sostitutiva al 5%. Un incentivo fiscale, dunque, che ha favorito il miglioramento delle retribuzioni e che conseguentemente, vista la finalità dell’agevolazione, ha prodotti effetti positivi anche per la competitività delle aziende. In termini assoluti, l’ultimo dato disponibile su scala nazionale, che risale al 2022, ci dice che il 56% dei premiati lavora in appena  quattro regioni: Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. Un riscontro che non deve sorprendere, alla luce del fatto che in quelle aree è concentrata buona parte dell’attività produttiva nazionale. Il che non significa che il Sud sia assente. Nella stessa graduatoria Acli, al settimo, ottavo e nono posto figurano rispettivamente le regioni Campania, Puglia e Sicilia con il 4,7%, il 3,6% e il 3,3% rispetto al totale dei beneficiari. Dobbiamo peraltro auspicare che il Governo supporti con altre misure il tessuto imprenditoriale meridionale, con particolare riguardo all’artigianato. Il principio deve essere lo stesso: si incentiva la produttività, nella consapevolezza che non di costo si tratta, bensì di investimento. Le risorse pubbliche impiegate ‘ritornano’ alla casa madre, perché le imprese, sostenute nel loro sforzo di espandersi sui mercati con personale motivato e preparato, aumentano i fatturati e la base imponibile per il fisco. Sollecitiamo da anni un approccio analogo per la formazione delle nuove leve, in un comparto strategico per il brand Italia, come l’artigianato di eccellenza. Qui si tratta di impedire che si concretizzi il rischio di un mancato passaggio generazionale. La soluzione è sgravare i maestri bottegai dei costi della formazione e compensarli per il tempo impiegato per insegnare ‘il mestiere’ ai giovani. Per lo Stato si tratta non soltanto di salvaguardare alcune delle più creative espressioni del made in Italy, ma di favorirne la modernizzazione e l’espansione sui mercati internazionali, che solo nativi digitali abituati a parlare e chattare in lingua possono garantire. Un affare per tutti, considerato che, anche in questo caso, anziché assistere a chiusure graduali di attività, si assicurerebbe un notevole ritorno alle pubbliche entrate.