Un nuovo studio della Banca d’Italia ci dice che, dal 1990 a oggi, nel Sud i lavoratori a bassa retribuzione sono passati dal 30% del totale al 44%. È una delle conseguenze di un periodo di flessione generale dei livelli di competitività del Sistema Italia, il cui Pil in questi trentatré anni è cresciuto pochissimo, se rapportato a quello di altri grandi Paesi europei. Ma, in questo declino, chi ci ha rimesso le penne è stato soprattutto il Sud. Nello stesso periodo, al Centro-Nord, la percentuale dei lavoratori a bassa retribuzione è, sì, cresciuta, ma dal 23 al 30%. In pratica, il distacco a sfavore del Sud si è raddoppiato!

Nel Sud il 60% della popolazione appartiene a famiglie monoreddito o senza reddito, al Centro-Nord meno del 40%. Complessivamente, la dinamica del prodotto e dell’occupazione nel Meridione ha fatto registrare andamenti di gran lunga più negativi rispetto a quella del resto del Paese. La proliferazione di contratti atipici nel Mezzogiorno ha finito per ridurre considerevolmente il numero di settimane lavorative annue. Strumenti di per sé utili per favorire la flessibilità del lavoro, se utilizzati, come purtroppo accade, solo per diminuirne gli oneri, finiscono non solo per aumentare la povertà dell’area, ma, alla lunga, anche per indebolirne il tessuto produttivo. Se non investi sul capitale umano, non generi ricchezza, in un’economia fondata sulla conoscenza. E non è sul lavoro precario che ci si può basare per cumulare competenze e know how in azienda. 

Come uscirne? Innanzitutto, con politiche istituzionali, del Governo e dei vertici locali, che puntino, con agevolazioni mirate, a incrementare l’occupazione duratura e produttiva nel Mezzogiorno.

Serve, inoltre, con gli interventi infrastrutturali e con l’erogazione di maggiori e più qualificati servizi pubblici, rendere maggiormente attrattivo il Mezzogiorno per nuovi investimenti. In questa direzione speriamo possa incidere positivamente la costituenda Zes unica per il Sud.

Occorre poi consolidare punti di forza meridionali che altrimenti rischiano di depotenziarsi, come i comparti di eccellenza artigianale del Made in Italy, a rischio per la mancanza di ricambio generazionale. Bisogna sostenere i maestri artigiani con incentivi e rimborsi per i costi di formazione dei giovani.

Su un altro versante, bisogna puntare sul Mezzogiorno anche come area dell’innovazione digitale, replicando best practice come il polo universitario di San Giovanni a Teduccio.