I dati Istat relativi al decennio tra il 2012 e il 2021 segnalano che i giovani laureati tra i 25 e i 34 anni partiti dall’Italia per lavorare all’estero sono stati molti di più dei giovani talenti stranieri approdati nelle nostre sponde. L’elemento di maggiore interesse (e preoccupazione) sta nel fatto che il saldo negativo non deriva da una sommatoria favorevole nelle competitive regioni del Nord e da bilanci di segno opposto nelle aree meno sviluppate. Al contrario. In Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, tra ‘perdite’ di giovani locali e ‘acquisti’ dall’estero il rosso sfiora le ventimila unità. È proprio nelle regioni più ricche che il saldo è più negativo. Sarebbe stata una falcidia, se non fosse per le dinamiche interne. La Lombardia, ad esempio, nel decennio considerato, ha perso più di 14.500 talenti tra dare e avere con l’estero, ma ne ha guadagnati oltre 68 mila dal Mezzogiorno. E la stessa cosa è accaduta per Veneto ed Emilia-Romagna. In pratica, un numero rimarchevole di giovani talenti del Nord abbandonano la terra d’origine, e questo, in epoca di globalizzazione, dovrebbe essere nell’ordine delle cose. Il settentrione non ha, tuttavia, la stessa capacità attrattiva per i giovani laureati esteri, ma evita i problemi che ne deriverebbero attingendo dal Meridione. Uno scambio, ovviamente, dannoso innanzitutto per il Sud, che vede andare via una buona parte della classe dirigente del domani, senza avere la possibilità di sostituirla (se non in minima quantità) né con stranieri né con giovani talenti del Nord. In prospettiva, peraltro, questo trend deve finire. Anche sotto questo profilo, infatti, l’interesse a un Mezzogiorno più ricco e attrattivo è del Paese nella sua interezza, e non solo del territorio specifico. Se l’Italia perde talenti in ogni sua regione, e lo fa per ogni anno che passa, il declino competitivo, al di là di qualche risultato contingente, diventerà inarrestabile. Il Governo dovrà fare sempre di più della questione Sud la priorità nazionale. E, nello stesso tempo, dovrà promuovere una strategia di attrazione dei giovani talenti esteri, finora colpevolmente trascurata dagli esecutivi che lo hanno preceduto. Il lavoro moderno non ha frontiere e ci auguriamo continui a non averle. Ma, se la direzione di marcia privilegia sempre le uscite, vuol dire che dobbiamo operare tutti perché i giovani italiani e stranieri tornino a guardare con maggiore interesse alla Penisola per le loro prospettive di affermazione personale.