La Fiorentina non ha solo vinto al Maradona, ha stravinto. La lezione di tattica e di strategia di Italiano a Garcia è stata totale e non ammette alcuna replica. L’1-3 finale è figlio di una superiorità, di una lettura della gara e di uno spartito recitato a memoria dai giocatori viola.

Una prova di intelligenza, lucidità e concretezza contro un Napoli che ha fatto spesso male, malissimo, quello che ha potuto, finendo col fiato grosso e correndo a vuoto contro il continuo movimento di centrocampisti e degli esterni viola.

Garcia, poi ci ha messo del suo con cambi che non hanno avuto un senso logico e pratico condannando gli azzurri ad inseguire invano palle o i giocatori di Italiano, sempre pronti a trovare due soluzioni in avanti o lo scarico verso la coppia di difensori centrali. 

Garcia sta tirando troppo la molla, fino a strapparla probabilmente.

Perché Olivera e non Mario Rui? Perché Raspadori e non subito Caiuste per sostituire Anguissà vittima dell’ennesimo infortunio?

Perché togliere Politano il migliore e più intraprendente degli azzurri con Zielinski per inserire Caiuste e Lindstrom e portare Raspadori sulla fascia, prima a destra poi a sinistra dove non ha inciso per niente?

La faccia e i gesti di Politano mentre usciva dal campo erano tutto un programma e l’impiego di Raspadori che il presidente vuole in campo, sta diventando il limite per la squadra per lo spogliatoi, per il tecnico.

Quello che ha creato lo scudetto azzurro è stata una strana miscela di atteggiamenti vincenti, di giocatori importanti, di desideri positivi con la tattica- 4-3-3 fluido di Spalletti a rappresentare il sostegno alla vera forza del Napoli. Dopo la vittoria si sapeva che confermarsi era difficilissimo, ma è successo che il flusso di quei sentimenti non è più circolato con la stessa forza e determinazione e il gruppo la squadra sembra che in certi momenti della gara tenda a estraniarsi dal gioco.

Perché senza quei sentimenti non c’è gioco, e contro avversari determinati questa squadra perde le sue vecchie certezze.

Sembra quasi che la proprietà, costretta al cambio del tecnico per proprie colpe nei fatti e senza ufficializzarla, sostenesse l’irrilevanza dell’allenatore, fidandosi dell’intuito e dell’ideologia aziendalista della proprietà più che alle geometrie del campo. 

Finora non ha funzionato. Magari si sarebbe dovuto trovare un equilibrio diverso ma non è andata così. 

E Garcia se continuerà nella sua politica farò fatica, nonostante la qualità dei giocatori, a rientrare pure tra le prime 4 del campionato.