“Le elezioni presidenziali americane sono senza dubbio un evento cruciale per gli equilibri globali, ma il modo in cui in Europa, e soprattutto in Italia, ci schieriamo a favore dei candidati statunitensi rivela una preoccupante sudditanza culturale e politica. Questa inclinazione non fa che sottolineare la fragilità delle nostre leadership, come dimostrano i fatti recenti”, così in una nota l’analista geopolitico Pietro Paganini in merito alle imminenti elezioni americane. “La rilevanza attribuita a queste elezioni-prosegue- è sintomatica di un’Europa che oggi conta troppo poco nello scenario mondiale. Se l’Europa avesse una presenza realmente incisiva, il risultato delle presidenziali americane non avrebbe il peso che ora sembra assumere. È uno spettacolo che mette in luce la forza del sistema economico e sociale statunitense, con tutte le sue qualità e difetti, e offre un modello di democrazia partecipativa che in Europa sembra ancora lontano. Emblematico è, ad esempio, il sistema elettorale italiano, ben distante dalle primarie americane che favoriscono il confronto democratico”, e spiega “il sostegno incondizionato per uno dei candidati statunitensi riflette una strategia di polarizzazione utile più per le campagne interne che per un’effettiva strategia internazionale. Come può, ad esempio, un partito italiano come il Partito Democratico sostenere una candidata priva di un programma politico definito e che, pur appoggiata senza passare per le primarie, si sottrae a qualsiasi commento sulle questioni cruciali?”. Quindi Paganini propone “è il momento di fermarsi a riflettere sulla debolezza dell’Occidente e, in particolare, dell’Europa e dell’Italia. Piuttosto che seguire passivamente il teatro della politica americana, dovremmo adottare un nuovo slogan, un MEGA: Make Europe Great Again. Questo non significa imitare la retorica statunitense-puntualizza Pietro Paganini- ma concentrarsi su politiche ambiziose, riforme incisive e un rinnovato senso di appartenenza che rafforzi l’Europa come leader mondiale per forza economica, creatività, imprenditorialità e visione geopolitica”. E conclude “i liberali che promuovono la libertà e una società aperta non si schierano ciecamente con candidati che non li rappresentano. Il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrebbe essere un alleato prezioso, ma non un padrone. Se non si cambia dobbiamo prepararci a diventare i nuovi sudditi, non solo degli USA, ma di tanti altri paesi”.